Caporalato, Martina: mai più schiavi nei campi

Diritti dei lavoratori e difesa del reddito degli agricoltori per noi sono parte della stessa battaglia

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martedì 24 aprile 2018

25 Aprile


25 APRILE 1945, Breve cronaca di quei giorni Memorabili

Aprile 1945, in Europa si combatte ancora su tutti i fronti, ma il Terzo Reich è ormai alle corde. Berlino è quasi accerchiata, stretta dall’avanzamento degli americani, da ovest, e dei sovietici, da est. Hitler è nel suo bunker. Parigi è libera da quasi un anno. In Italia, le truppe alleate avanzano verso nord, lentamente, in parte ancora bloccate sulla Linea Gotica.

In tutto il nord Italia, migliaia di partigiani, in città e sui monti, si stanno preparando all’offensiva finale. Il ventiduenne Italo Calvino, che si fa chiamare Santiago, combatte sulle colline vicino a Imperia, mentre Cesare Pavese si è nascosto nel Monferrato, e aspetta.

Martedì 24 aprile, alle 11 e 50 del mattino

Genova è insorta.

I tedeschi non si sono ancora arresi, anche se quasi tutti i centri di potere sono in mano ai partigiani delle squadre di azione patriottica (Sap) e alla popolazione, che si è unita alla lotta: il carcere di Marassi, il municipio, le centrali telefoniche, la prefettura, le case del fascio, persino la Casa dello studente, sede del comando delle Ss, sono già state prese.

La notizia dell’insurrezione arriva a Milano da una telefonata tra Corrado Franzi Direttore della filale della Banca Commerciale e un suo collega di Genova

Appena Franzi mette giù il telefono manda subito a chiamare Leo Valiani, membro del Partito d’Azione e del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai). Un’ora dopo, che Genova è insorta lo sanno anche Sandro Pertini, socialista, Emilio Sereni e Luigi Longo, entrambi comunisti. Sono i vertici del Cln Alta Italia.

Mentre i quattro decidono di proclamare lo sciopero generale e l’insurrezione per l’una di pomeriggio del giorno dopo, mercoledì 25 aprile. E’ Sandro Pertini a proclamarlo:

«Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra Fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine. Come a Genova e a Torino, ponete i Tedeschi di fronte al dilemma: arrendersi o perire»

In quello stesso momento, a pochi chilometri di distanza una squadra di sappisti della 110^ brigata Garibaldi è già impegnata in uno scontro a fuoco con una pattuglia di repubblichini. L’insurrezione, anche a Milano, è cominciata.

Nelle stesse ore, a La Spezia, le truppe alleate entrano in città.

Intorno alle 7, a Torino comincia a girare un telegramma del Cln che inizia con una frase incomprensibile ai più: «Aldo dice ventisei per uno». È il segnale che in molti aspettavano. Ventisei sta per 26 aprile e una è l’ora decisa per l’inizio dei combattimenti, che però, in molte zone del nord Italia, sono già cominciati spontaneamente.

È arrivata la sera anche a Genova ,c’è un clima irreale, in moltissimi hanno una gran paura, per due ottimi motivi. Il primo è un comunicato del generale Meinhold, comandante delle forze tedesche, che ha minacciato di distruggere la città. Il secondo è una voce che gira parecchio e che attesta la presenza, sulle colline, di più di 60 pezzi di artiglieria pesante in mano ai tedeschi. È tutto vero, i pezzi di artiglieria ci sono, e sono 65, ma fortunatamente Meinhold non arriverà ad usarli.

Anche a Milano, in serata, la tensione è altissima. All’ospedale Niguarda, i partigiani stanno assaltando la caserma della Guardia Nazionale Repubblicana per fare incetta di armi e munizioni e armare la popolazione. Alla Pirelli gli operai si asserragliano negli stabilimenti e preparano la resistenza del giorno dopo. L’ordine è difendere le fabbriche, a tutti i costi.

A Cuneo si è sparato tutto il giorno e ora, che è arrivata mezzanotte, la città è silenziosa.

Mercoledi 25 Aprile

Alle sei del mattino Leo Valiani ha un appuntamento con Mario Rollier in via Pergolesi. Deve consegnargli gli ordini di insurrezione, in modo che le faccia avere al più presto a Egidio Liberti, comandante delle brigate di Giustizia e libertà. Poco dopo, al numero 82 di viale Monte Nero, anche Lelio Basso e Corrado Bonfantini, del comando generale delle brigate Matteotti, fanno partire l’ordine di insurrezione alle formazioni cittadine.

Alle 8 a Milano In via Copernico, il Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia è al gran completo. Devono ratificare tre decreti d’urgenza per assumere i poteri civili e militari, per amministrare la giustizia e per giudicare i gerarchi e i membri del governo fascista: la pena prevista è la morte. Contemporaneamente, lungo viale Campania, una colonna di partigiani e cittadini sta camminando in direzione di piazza Leonardo da Vinci. Sono in 340, in tutto hanno 5 fucili mitragliatori, 17 fucili automatici, 56 pistole e alcune bombe a mano. Nel giro di un’ora avranno occupato la sede del Politecnico.

A Genova, alle 10 meno venti, si arrendono i presidi tedeschi di Voltri e Prà. Poi, intorno alle 10, un gruppo di studenti universitari insieme a una decina di uomini delle Sap attacca l’altura di Granarolo, ancora presidiata dai tedeschi. L’obiettivo è prendere la stazione radio. Nello stesso momento, in un’ambulanza che viaggia a sirene spiegate, c’è un uomo con due lettere in tasca e l’ordine di consegnarle nelle mani del generale Gustav Meinhold. Quell’uomo, che si fa chiamare professor Stefano, è sul serio un professore, ma in realtà si chiama Carmine Romanzi, ha 32 anni, e nel dopoguerra diventerà Magnifico Rettore dell’Università di Genova, in via Balbi. Dentro quelle buste c’è l’ordine di resa per i tedeschi, senza condizioni.

Meinhold all’inizio si rifiuta e rinnova la minaccia di bombardare la città se non sarà concesso ai tedeschi di ritirarsi con le armi. Il professor Stefano non si scompone, lo guarda negli occhi e gli fa presente, con voce calma, che su tutte le vie di fuga dalla città troverà partigiani armati. Se vogliono possono provarci, gli dice, ma sarebbe un bagno di sangue. Il tedesco ha capito: non c’è più nulla da fare. Ci pensa qualche minuto, guarda fuori dalla finestra. Poi afferra la pistola, la estrae dal cinturone e la porge a Romanzi. Ha accettato i termini della resa, e quel gesto sancisce la sua promessa.

A Milano, nei locali dell’Arcivescovado il Cardinale Schuster è molto preoccupato. È convinto che la ribellione in atto in città porterà al potere i comunisti e vuole fare qualcosa per impedirlo. Sono circa le undici e mezza, piazza Duomo è deserta.

È l’una

È l’ora decisa dal Cln per lo sciopero generale e per l’inizio dell’insurrezione, che però è già cominciata. In quel momento, alla Innocenti di Lambrate, la 118^ Garibaldi prende possesso degli stabilimenti e arresta 15 repubblichini.

Nell’ambulanza che aveva portato fuori Genova Carmine Romanzi e le sue due lettere, il generale Meinhold viene scortato in città, dove un paio di ore dopo, alla presenza dei vertici del CLN genovese, firmerà la resa dei suoi: sarà il primo e unico atto di resa firmato durante la seconda guerra mondiale da un generale tedesco al cospetto di formazioni irregolari.

Sono le cinque del pomeriggio, In piazza Fontana, a Milano, è arrivato anche Benito Mussolini. Insieme a lui e al cardinale Schuster ci sono il generale Cadorna e i rappresentanti del Cln. A Mussolini viene intimata la resa incondizionata e gli viene annunciato che i tedeschi stanno già trattando. Lui prende tempo, dice di aver bisogno di un’ora, dopodichè tornerà a concludere le trattative. Schuster e gli altri sono d’accordo e lo lasciano andare. Scendendo le scale dell’Arcivescovado, Mussolini incrocia un uomo trafelato che sale di corsa, è Sandro Pertini, è armato, e non l’ha riconosciuto. Anni dopo, Pertini dichiarerà che, se lo avesse riconosciuto gli avrebbe sparato, senza indugi.

In Italia ormai sono le sette di sera ed è tutto molto concitato. Su Milano il cielo si annuvola e cade qualche goccia di pioggia. Mussolini non ha mantenuto la promessa e all’Arcivescovado non ci è tornato. Mentre a Genova il generale Meinhold sta per firmare la resa, Mussolini sta scappando verso nord, in direzione di Como, per poi cercare rifugio in Svizzera. Non ci arriverà mai.

A Torino non è ancora cominciato quasi niente, e alle 21 al comando delle forze partigiane arriva uno strano ordine americano: «non procedere verso gli obiettivi in città se non dietro specifico ordine del Comando piazza». È l’ennesimo tentativo del colonnello John Melior Stevens, rappresentante degli Alleati, di non perdere il controllo sui partigiani comunisti. L’ordine viene ignorato.

Sono le dieci di sera, vicino a Busto Arsizio, in provincia di Varese, l’emittente radiofonica della Repubblica sociale italiana sta ancora trasmettendo, ma al posto del solito telegiornale va in onda un comunicato che inizia così: «L’Alto Milanese è liberato dai patrioti italiani!». È un comunicato partigiano, è il primo annuncio pubblico della liberazione.

A Genova è piena notte, i tedeschi fuori città si sono arresi, ma c’è ancora un gruppo, capitanato dal capitano di vascello Max Berninghaus, che non riconosce la resa firmata dal generale Meinhold e lo dichiara colpevole di alto tradimento. Si arrenderanno poche ore dopo. A Milano ci si sveglia con il suono di copi di armi automatiche, alle prime luci dell’alba, un commando della Guardia di finanza conquista la prefettura. Un paio d’ore dopo, Riccardo Lombardi, azionista, diventa prefetto di Milano, mentre, Antonio Greppi socialista, diventa sindaco.

Nella sede del Corriere della Sera, in via Solferino, Dino Buzzati sta battendo i tasti della sua macchina da scrivere: «Mentre andiamo in macchina — scrive — i combattimenti continuano. Nelle primissime ore di stamane i reparti partigiani hanno già occupato la Prefettura, la sede dell’Eiar, l’ufficio della Questura centrale e i commissariati di polizia». Poi mette un punto, tira fuori il foglio, rilegge e manda in tipografia.

Buzzati ha ragione, fuori si continua a sparare, truppe tedesche sono ancora trincerate nel collegio dei Martinitt di Lambrate, nella Casa dello studente di via Pascoli e nel palazzo dell’Aeronautica di piazza Novelli. Si arrenderanno solo all’arrivo delle colonne partigiane dell’Oltrepò Pavese, il 28 aprile. Quel pomeriggio a Genova circa seimila soldati tedeschi sfilano disarmati in via XX settembre, sotto i portici che costeggiano la strada, leggermente in salita, migliaia di genovesi assistono festanti a quella triste sfilata. In molti si rendono conto, per la prima volta, che maggio è vicino e che tra un po’ si andrà al mare.

giovedì 19 aprile 2018

25 Aprile 2018


73 anni di libertà grazie alla lotta partigiana di liberazione contro il fascismo.

OSSERVATORIO APRILE 2018



L’OSSERVATORIO.                

Con la crisi siriana e il non trascurabile rischio di una guerra alle porte di casa, si continua ancora nell’incertezza per la formazione del nuovo Governo, i cui protagonisti principali vorrebbero ancora dilazionarne i tempi, legando le rispettive prove di forza (Salvini verso Berlusconi, Di Maio verso Salvini) agli esiti delle Regionali del Molise e del Friuli del 22 e 29 prossimi. Ma la situazione in Medio Oriente ha indotto Mattarella a sottolineare, nei suoi colloqui, che resta centrale il problema della collocazione italiana nello scacchiere internazionale, in quanto sia Salvini, in modo più esplicito, sia Di Maio, ora in forma più ovattata, non hanno mancato mai fino a ieri di esprimere una certa inclinazione politica per Putin, pur se ora Giggino, che vuole sempre dare l’idea di essere “rassicurante”, si è espresso a favore della NATO, scatenando l’ira della consistente ala “filo-russa” del Movimento. Se si alleassero Salvini e Di Maio quale la prossima politica estera dell’Italia? Meraviglia al riguardo (permettetemi una battuta) come Casaleggio junior, vero e proprio padrone dei “5 Stelle”, non abbia ancora proposto un sondaggio on line tra gli iscritti alla piattaforma Rousseau per vagliare l’orientamento della base e quindi far decidere, con un “click”, la collocazione internazionale del futuro Esecutivo..; il vero problema però è che non sanno nemmeno loro cosa dire e fare, salvo generiche affermazioni e richiami alle vie diplomatiche. Salvini, sempre spiccio nei modi e nelle affermazioni, ha persin dichiarato che non si è sicuri dell’uso di armi chimiche in Siria; a parte questi “trascurabili” dettagli, la formazione del nuovo Governo è partita tutt’altro che risolta e il feeling tra Lega e “5 Stelle” è servito finora ad far occupare tutti i posti disponibili nelle due Camere, dalle Presidenze ai “questori”, escludendo il Pd, quasi a mettere in sicurezza un accordo che sembrava vicino. Perché ciò che a mio avviso ostacola veramente un accordo non è solo il “problema Berlusconi”, ed ora anche la posizione “pro Putin” di Salvini, ma il “personalismo” di Di Maio, per il quale il non sedersi a Palazzo Chigi equivarrebbe ad una sconfitta; del resto continua a ribadirlo: lui vuole diventare il presidente del Consiglio, in quanto, come ha detto chiaramente, è da oltre un anno che sta preparandosi per questo ruolo, quindi nessuno può impedirglielo (!). Mentre infatti Salvini ha già detto da tempo che potrebbe fare un passo indietro circa il Premierato, le stesse parole Di Maio non le ha mai pronunciate. Il richiamo ai voti ricevuti è sì argomento importante, ma non decisivo, perché in Italia, specie col proporzionale (sistema che i Cinquestelle in passato han sempre sostenuto!), pur esprimendosi il voto al partito (o alla coalizione), non “necessariamente” vuol dire che quel Segretario diventerà Capo di Governo; costituzionalmente non c’è nulla di scorretto in ciò! Sembra davvero di rivedere e risentire, oggi nel Movimento pentastellato, parole e atteggiamenti di Forza Italia nei “tempi d’oro”, quando tutti all’unisono lodavano Berlusconi come leader inarrivabile, l’unico in grado di parlare al Paese, anche per le Coppe e gli scudetti vinti a suo tempo dal Milan (!), che doveva governare perché “eletto dal popolo”, non dovendo quindi tollerare interferenze da altri organi dello Stato (Presidenza della Repubblica, Magistratura…) in quanto non legittimati dal popolo; la stessa cosa sta capitando al partito della “Casaleggio associati”, nel quale c’è una forte connotazione settaria per cui il Capo non si discute né può essere discusso da nessuno, avversari politici compresi. Tra l’altro, se non fosse Giggino ad occupare la poltrona di Primo Ministro non avrebbero altre figure spendibili, a parte Fico, inviso però allo stesso Di Maio (ammenocchè non ricorrano a Crimi, alla Taverna, a Toninelli…lascio al commento personale di ognuno..). Esiste a mio avviso però una ragione più profonda di questo atteggiamento dei “5 Stelle”: la concezione sacrale che loro hanno della “rete”, per cui il “nominato” on line diventa l’incarnazione (una sorta di “Inviato”) della volontà dei “cittadini” (che poi per Di Maio siano stati appena più di 400 voti questo poco importa) e se questo Capo non fosse immediatamente riconosciuto anche dagli altri quale Premier vuol dire che è la “Politica” (cioè la ricerca del compromesso più alto, la possibilità di confrontarsi e mediare..) ad essere sbagliata, una cosa dunque inaccettabile, in quanto l’esito (il mancato ruolo di Premier) non sarebbe quello previsto e “sacralmente sancito” dal voto della rete. Ciò introduce nel confronto politico un elemento di irriducibilità che complica ancor più una situazione già di per sé complessa, caratterizzata da due schieramenti “non vincitori” che si comportano (i Cinquestelle di più) come se avessero conseguito il 51%. Cosa proporrà ora il Presidente Mattarella non possiamo saperlo; potremmo aspettarci forse, invece di un mandato esplorativo, l’individuazione sollecita (i tempi stringono) di una figura “istituzionale” (non necessariamente i Presidenti delle Camere), condivisa il più possibile da Lega e Movimento, che sulla base di alcuni ma fondamentali “punti programmatici” comporrà, tenendo conto delle indicazioni dei partiti coinvolti, una squadra di Governo che dovrà durare almeno un anno...Vedremo..

La situazione del Pd.

Il contesto politico attuale non può prevedere un’immobilità, un arroccamento, un “vediamo come se la cavano” del nostro partito, anche se sembra che qualcosa stia muovendosi. Sì, è vero, il Pd non ha vinto, anzi ha perso e “di brutto”, ma ciò non toglie che un “Aventino politico” non è produttivo perché si dà l’idea di una compagine politica che nell’immobilità cerca di evitare l’implosione, cosa che potrebbe avvenire se optasse per una entrata in gioco più incisiva. Abbiamo già detto che la situazione interna è molto seria e non si sta dando peraltro una “bella immagine” con lo spostamento dell’Assemblea Nazionale e con le difficoltà che si vogliono opporre a Martina, attuale reggente, reo di aver ipotizzato aperture al dialogo con le altre forze politiche per la formazione del Governo. Continuo a ribadire che al momento il Pd non è in grado di esprimere un cambio di linea politica e quindi un candidato “nuovo”, necessari dopo la batosta elettorale; son troppi i risentimenti, i sospetti reciproci, i veti incrociati, ma soprattutto c’è l’assurdo di un Segretario dimissionario di fatto “non dimesso” che vuole gestire l’attuale fase politica per mantenere il controllo del partito, senza però un confronto interno, una riflessione autocritica circa le cause del tracollo elettorale…Nulla di nulla…Tale immobilità rischia di trasferirsi nei Circoli periferici, spesso “impossibilitati” o incapaci di prendere un’iniziativa, di stimolare un confronto interno produttivo, perché nell’attesa che si sblocchi la situazione da Roma. Sarebbe opportuno invece confrontarsi “in modo operativo” su come riallacciare i rapporti con quel mondo “di sinistra” che ha girato le spalle al Pd; questo si può e si dovrebbe fare, pur se il timore di alcuni è che in questa fase di stallo e di incertezza politica certe iniziative possano far saltare equilibri interni, scompaginare maggioranze e tutto possa essere rimesso in discussione, riaprendo una nuova stagione. Io credo che proprio dai Circoli, con uno stimolo continuo verso la Dirigenza nazionale, debba partire la “riscossa”, ma a volte (o molto spesso) sembra che nulla si faccia o si muova solo per capire solo come riposizionarsi, per mantenere ruoli e posizioni. Torno a dire che è auspicabile che la fase congressuale (perché un congresso rifondativo andrà fatto, altrimenti finisce il Pd) sia accompagnata da proposte provenienti da gente “di area” nel campo dell’Economia, della Scuola, della Sanità, del mondo sindacale e delle rappresentanze, dal mondo del Volontariato, al fine di ridisegnare un profilo più nuovo ed incisivo (non che manchino all’interno del partito figure in grado di far questo, ma se ci si guarda con sospetto, se si studiano le mosse di Tizio o Caio per capire dove si collocherà non si realizzerà mai un confronto del genere, che potrà nascere solo dagli “esterni”). A tal fine, a sancire il tutto, un Segretario al fuori dagli attuali schemi e risentimenti e da veti incrociati, una figura “libera” con ampio mandato riformatore (ecco perché ho fatto il nome di Fabrizio Barca, ma potrebbero essercene altri, compreso Zingaretti che avrebbe però il problema di conciliare due ruoli importanti, in quanto Presidente della Regione Lazio). Anche a livello locale si può metter su un “think tank”, individuando persone che ancora sperano in un serio rinnovamento del partito ed iniziare pertanto un confronto sicuramente proficuo. Chi ci sta a far questo ora nel Pd astigiano? Le risposte sono attese.

Gianni Amendola

17/4/2018

lunedì 16 aprile 2018

DOCUMENTO RIASSUNTIVO DELLA DISCUSSIONE POLITICA SUL RISULTATO DELLE ELEZIONI DEL 4 MARZO 2018


Carissimi amici,
Con il seguente documento riteniamo, nel nostro piccolo, di dare un contributo alla discussione politica post – elettorale.
Cordiali saluti.
Il Coordinatore del Circolo di Asti
Mario Mortara
Circolo Pd Asti
Assemblea degli Iscritti di venerdì 16 marzo 2018
DOCUMENTO RIASSUNTIVO DELLA DISCUSSIONE POLITICA SUL RISULTATO DELLE ELEZIONI DEL 4 MARZO 2018 da estendere alle Direzioni Provinciali, Regionali e Nazionali.
Il risultato elettorale è stato molto negativo; una sconfitta inappellabile che apre inevitabilmente un percorso, di ripensamento, rifondazione e ripartenza del nostro partito.
In linea a quanto sta succedendo in tutto il mondo occidentale hanno prevalso le forze politiche con marcate tinte identitarie e con forte vocazione populista, che hanno cavalcato le paure degli italiani
proponendo ricette in gran parte non realizzabili. Fallisce anche il tentativo di proporre
un’alternativa “più a sinistra” del PD, che era alla base della scissione che si è verificata nel partito.
Se un partito come il nostro fondato su valori, ideali, principi universalmente riconosciuti, passa in
pochi anni dal 40% al 19%, dopo aver governato bene in un periodo di profonda crisi economica, è
perché è in atto un profondo stravolgimento della società, tanto da mettere in discussione le
consolidate ideologia di destra e sinistra sostituite con contrapposizioni, sovranisti/europeisti o
conservatori/riformatori. La maggioranza degli elettori ha visto nella Lega e nel M5S la via d’uscita
facile al soddisfacimento dei propri bisogni, attribuendo la responsabilità della crisi nazionale al Pd
e pertanto targandolo come un partito da rottamare e da sostituire con forze nuove. Sui candidati
delle forze politiche più votate si sono sentite tante affermazioni del tipo “sono giovani…puliti…
mettiamoli alla prova…tanto non abbiamo niente da perdere”.
Ciò non deve però indurci a NON fare una profonda riflessione sulla nostra proposta politica e per
questo abbiamo ritenuto giusto e democratico avviare un dibattito all’interno del nostro circolo e
trasmetterne i contenuti agli Organi del Partito.
La discussione in Assemblea è stata molto articolata e appassionata; sono emerse molte opinioni
sulle motivazioni della sconfitta che di seguito si riassumono:
- Dato il sistema elettorale era legittimo aspettarsi che i candidati del territorio conferissero un
valore aggiunto. Se questo in parte è vero per il nostro collegio dove il PD ha conseguito un
risultato migliore del dato nazionale ( ma non cosi determinate da consentire l’elezione di un
rappresentante del territorio) l’analisi del voto ci dice invece che hanno prevalso le logiche
Nazionali. Abbiamo fatto banchetti, incontri, diffuso capillarmente il nostro programma; i
nostri candidati all’uninominale erano persone stimate e molto conosciute per avere ben
operato nella loro esperienza politica; Angela Motta, che ringraziamo, si è spesa in decine di
incontri sul territorio proponendo ai cittadini un “patto” per portare le istanze del territorio al
governo Nazionale, eppure hanno prevalso candidati semi- sconosciuti.
- Il voto rileva una rivolta di consistenti masse di elettori contro i ‘vecchi’ partiti, colpevoli
( per quegli elettori) di non aver risolto problemi ormai annosi quali l’immigrazione, la
sicurezza, il lavoro, il futuro dei giovani, spesso costretti a emigrare. La polarizzazione del
voto (al nord Lega e al sud M5S) indicherebbe un diverso atteggiamento ‘geografico’
dell’elettorato, rivolto nel nord industrializzato a chiedere protezione dal mercato globale e
dai rischi derivanti dall’immigrazione incontrollata, e nel sud una vera e propria rivolta
contro le classi dominanti locali e nazionali di tutti i partiti, e la richiesta di assistenza
(salario di garanzia) indice di sfiducia nella capacità della politica di rispondere ai problemi
da tempo sul tappeto.
- Il Pd, in questa tornata elettorale, è stato vissuto come rappresentante dell’élite di potere,
dunque responsabile di un presente insoddisfacente che va superato.
- Il voto del 4 marzo rappresenta una ‘mozione di sfiducia’ nella politica tradizionale e al
contempo della ricerca di nuovi protagonisti.
- Una parte considerevole del corpo elettorale si orienta non leggendo i programmi, ma
vedendo TV e frequentando i social. Lega e M5S si sono dimostrati molto efficaci a
comunicare. Gran parte dell’informazione ha avuto un atteggiamento largamente
antigovernativo che ha influenzato, negativamente per il Pd, l’elettorato. Va detto però che
comunicare un progetto a medio/lungo termine e la visione per il paese che noi abbiamo
(unico partito ad averla) è ben più difficile che farlo con slogan semplicisti che parlano alla
“pancia” degli elettori.
- Per troppo tempo sono state sottovalutate le fake news ed è stato un errore non aver
approvato una legge di contrasto alle stesse. Non siamo riusciti a comunicare efficacemente
gli ottimi risultati ottenuti dai nostri governi in tema di lavoro e diritti.
- Le divisioni interne, le contrapposizioni tra correnti hanno rappresentato un fattore di
debolezza.
- Il radicamento nei centri storici e la perdita di elettori nelle periferie ci dicono che troppo
poco è stato fatto nei confronti dei ceti più deboli.
La totalità dei presenti ha indicato nell’opposizione l’unica scelta possibile per il PD e per un
periodo non breve, al fine di rielaborare strategia politica ed efficaci strumenti di presenza e
di azione nella società civile.
Abbiamo individuato fra le priorità assolute i problemi del lavoro, della povertà dei ceti più deboli,
così come riteniamo fondamentale cercare un rinnovato dialogo con la gente per ascoltarne
esigenze, bisogni, aspettative, preoccupazioni.
Non dobbiamo rinunciare ai nostri principi per inseguire i populisti, dobbiamo continuare a batterci
pei i diritti, contro ogni forma di delinquenza e di corruzione, per meritocrazia, contro i privilegi,
per sane politiche sulla crescita, perseverando nell’obiettivo di costruire una società, moderna e
giusta.
Dobbiamo batterci contro i populismi anche rimettendo al centro della vita pubblica i cittadini,
agevolandone la partecipazione nella costruzione delle riforme.
Per concludere tutti gli iscritti del Circolo Pd di Asti tutti hanno infine convenuto sulla necessità e
l’urgenza di avviare dalla base una riflessione autentica, libera, partecipata e ascoltata dai vertici del
partito, senza timore di esprimere posizioni anche diverse (ma nel merito e non fra ‘correnti’
cristallizzate), fra le quali fare poi sintesi in sede congressuale.
Si vuole insomma un congresso, quando questo si farà, fondato non sulla ‘conta’ ma su un dibattito
vero e aperto anche a personalità e “intelligenze” non iscritte ma organiche alla nostra area politica,
dal quale deve uscire una nuova idea di partito per il rilancio della sinistra e delle forze progressiste
in Italia.
Pertanto, l’Assemblea chiede al PD Provinciale di farsi carico della richiesta di un dibattito aperto e
franco a tutti i livelli, anche stimolando le altre federazioni provinciali del Piemonte e il PD
regionale.
Per parte sua, la Segreteria cittadina invierà il presente verbale agli Organi politici Nazionali e alle
strutture omologhe delle altre province piemontesi.
Il Circolo Cittadino di Asti
Asti, 5.4.2017

lunedì 9 aprile 2018

Lettera di Maurizio Martina al direttore de La Repubblica



Caro direttore,
nessuno a sinistra, nel campo democratico e progressista, può sottovalutare e liquidare la portata del cambiamento prodotto dai cittadini il 4 marzo. Penso che dobbiamo fare i conti fino in fondo con la cesura radicale che si è realizzata tra le culture fondative della nostra Repubblica e il Paese.

Siamo a un cambio di scenario anche in Italia e il destino del Partito Democratico è legato alla sua capacità di proporre un’analisi profonda e una reazione conseguente all’altezza del tempo che abbiamo davanti a noi. Ovunque nel mondo la destra ha cambiato pelle nella seconda stagione della globalizzazione.

La sinistra è rimasta ferma

Da ultra liberista è diventata paladina dell’ideologia della chiusura, dando così l’impressione di rispondere in particolare alle domande di protezione di larga parte dei cittadini più fragili. Al cambiamento del capitalismo globale ha fatto seguire una nuova proposta ideologica e politica. E la sinistra? È rimasta ferma.

Ha continuato ovunque a professare la società aperta faticando sempre di più a porsi il problema degli ultimi. Faticando a riconoscere le frontiere dei bisogni generati da cambiamenti che ovunque hanno fatto emergere paure e solitudini. Il presente imprigiona, il futuro spaventa.

E dentro questa perdita d’orizzonte si consuma la crisi di senso della sinistra. L’allargamento della forbice delle diseguaglianze, in Italia come in occidente, ha prodotto smottamenti che hanno messo in discussione interi territori e figure sociali di riferimento un tempo pilastri essenziali del Paese.

Una domanda di rinnovamento della politica

A ciò si aggiunga la fatica della responsabilità di governo anche quando si sono compiute importanti scelte di avanzamento dei diritti e riforme economiche e sociali necessarie. E limiti ed errori compiuti in primo luogo al Sud, dove i cittadini hanno prevalentemente votato “contro” di noi per esprimere una domanda radicale di rinnovamento della politica.

Penso che per ripartire serva una nuova prospettiva democratica in grado prima di tutto di rimettere al centro del nostro impegno l’urgenza di un valore antico ma quanto mai attuale: la giustizia. Ci sono battaglie da condurre e sono sfide di giustizia.

Che si tratti delle donne ancora sottopagate nei loro lavori e nella loro fatica di conciliazione coi tempi di vita, che si ascoltino le voci di tanti giovani del mezzogiorno senza prospettive e certezze, che si pensi a lavoratori e disoccupati a cui garantire concretamente protezione e reddito con strumenti realmente universalistici o che si affronti il futuro delle periferie urbane dove è più evidente il bisogno di costruire integrazione e sicurezza nella piena cittadinanza.

Organizzare una nuova risposta ai bisogni di protezione dei cittadini

Credo, come altri, che abbiamo bisogno di organizzare una nuova risposta ai bisogni di protezione dei cittadini. L’alternativa all’individualismo e alla chiusura torna ad essere la comunità. E dunque un nuovo contratto sociale capace di proteggere e promuovere.

In grado di riconoscere il “valore condiviso“, il mutualismo e i cittadini come protagonisti attivi e non solo come consumatori (anche delle istituzioni e della politica). Si tratta di realizzare un vero cambio di prospettiva prendendo certamente anche il buono che abbiamo seminato in questi anni c’è e va riconosciuto.

Rimettere al centro la giustizia sociale e il senso di comunità

Rimettere al centro la giustizia sociale, rispondere ai bisogni con una idea forte di comunità, dare forma a nuovi diritti ma anche a nuovi doveri e responsabilità.

Affrontare la questione ineludibile della sostenibilità integrale dello sviluppo a partire dalla sua svolta ecologica.

Sostenere il rinnovamento della democrazia rappresentativa

E riproporsi come il soggetto capace di sostenere con coraggio il rinnovamento della democrazia rappresentativa, la riforma delle sue istituzioni per garantirne un corretto funzionamento verso personefamiglie e imprese e nuove pratiche di partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche.

Dunque, un’idea di società, più che un menù di promesse. Una prospettiva e una speranza possibile per il futuro, più che un semplice programma.

Europa: alternativa al populismo e ai ripiegamenti nazionalisti

Un impegno da collocare dentro una chiara scelta di campo europeista, perché proprio l’Europa dovrà essere lo spazio di cittadinanza fondamentale per questa svolta, pena la sua definitiva decadenza. Anche per questo le prossime elezioni europee 2019 saranno un banco di prova essenziale per l’alternativa progressista ai ripiegamenti nazionalisti e ai populismi autoritari.

Il Partito Democratico deve ritrovare la missione del cambiamento del Paese

Lavoro perché il Partito Democratico sia capace di offrire a tanti questa proposta d’impegno. Siamo nati come il partito del cambiamento del Paese; dobbiamo ritrovare le nostre ragioni ripartendo esattamente da questa missione.

Allargare il campo e superare vecchi e nuovi conflitti

Ed è giusto, anzi necessario, che questo sforzo attraversi il PD ma vada anche oltre. C’è da allargare il campo e da superare vecchi e nuovi conflitti. C’è da chiedere un passo avanti a tante energie pronte a dare una mano e figlie di esperienze forti in campo sociale, culturale, associativo.

“Il mare calmo non ha mai fatto buoni marinai” mi ha detto un caro amico e compagno. Ha ragione. Ora il mare non è certo calmo ma proprio per questo vale la pena di navigare insieme. E solo insieme prendere la rotta giusta