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domenica 22 novembre 2020

OSSERVATORIO SPECIALE PANDEMIA

L’Italia multicolore, frutto della diffusione virale a livello regionale, ci richiama tutti indistintamente alla responsabilità dei comportamenti, che la prospettiva imminente dei vaccini (e degli anticorpi monoclonali) dovrebbe rendere più motivata e positiva. Non sappiamo ancora quando se ne potrà usufruire (probabilmente da gennaio), anche se sarà ovvio che i primi destinatari saranno il Personale Sanitario insieme, credo, alle forze dell’ordine ed agli anziani. E’ giusto ribadire che l’arrivo del vaccino non significherà automaticamente la fine della pandemia, e quindi un rilassamento dei comportamenti, ma certamente darà pian piano progressivo respiro all’economia ed alle nostre attività. Le difficoltà attuali nel controllo della diffusione del coronavirus sono dovute all’impossibilità ormai del tracciamento dei contatti (contact tracing) per l’incremento esponenziale dei contagi; restano peraltro assai comprensibili i problemi di tanti genitori di fronte alle frequenti tipiche manifestazioni da raffreddamento dei loro bambini, per i quali i protocolli anti-pandemia richiedono tamponi negativi per un possibile rientro a scuola. Si spera che presto potrà essere disponibile il tampone salivare, da fare anche a domicilio, messo a punto da quattro ricercatrici dell’università di Milano, che richiede certo il successivo trasporto presso un laboratorio accreditato, ma in grado di fornire risposta in meno di 24 ore. Insomma, se oggi dobbiam fare dei sacrifici (probabilmente anche per il Natale, sicuramente diverso dai “soliti”), il domani ci appare meno buio. Resta pertanto del tutto appropriato e condivisibile l’intervento odierno (17/11) del Presidente della Repubblica al convegno on line dell’ANCI, richiamando come ha fatto tutte le figure istituzionali, a partire dai Sindaci, a remare concordi nella stessa direzione, evitando basse polemiche di parte, perché la pandemia è questione seria ed ha bisogno anche di un quadro politico maturo e credibile, pur nella diversità dei ruoli. M5S ed il suo…Travaglio Pensare che gli Stati Generali, testè celebrati, potessero definire fin da subito l’immagine nuova del Movimento era piuttosto ottimistico; qualcosa certamente si muove (il rapporto con la Casaleggio Associati ad esempio), ma si è ancora a livello di belle intenzioni, di slogan più calibrati, espressione sempre di quell’ humus da cui provengono, e soprattutto di rifiuto a sottoporsi ad autocritica (come pure qualche delegato ha sottolineato) che avrebbe dovuto rendere ragione della costante emorragia dei consensi, indice della perdita di credibilità da parte dell’elettorato. Ma vorrei far notare, se mi si permette, l’ipocrisia che accompagna i commenti di alcuni dei protagonisti della kermesse pentastellata. Di Maio, tanto per cambiare, ha detto, a beneficio degli iscritti alla piattaforma, che il mantenimento del limite ai 2 mandati è sacrosanto, quando è evidente da tempo che le sue mire sono opposte; figuriamoci se lui ha intenzione davvero di uscire un giorno dalla politica, non solo per comprensibili motivi economici, ma anche perché ambizioso com’è non rinuncerebbe mai a diventare l’ago della bilancia in Parlamento, aspirando anche alla Presidenza della Repubblica (magari nel 2029). D’altra parte, a 2 anni dalle prossime elezioni nazionali, cosa gli costa fare affermazioni del genere? Nulla. Bisognerà sentire cosa dirà nell’approssimarsi di quella scadenza invece…! Poco fa l’Ansa ha riportato una sua dichiarazione nella quale ha ribadito che “…non esistono cose di destra o di sinistra. Esiste il Paese e dunque misure giuste o sbagliate, in relazione agli interessi e alle esigenze dei cittadini. Ad esempio il lavoro, il fisco, la sicurezza e i flussi migratori, i diritti”. E a seguire un invito a tenere in alto i cuori, ricordando di essere la forza più numerosa in Parlamento. E’, come si vede, l’espressione del grillismo allo stato puro. Invece esistono cose di destra e di sinistra, caro Di Maio; dipende da come si leggono i fatti e come si cerca di risolvere i problemi, e non è differenza da poco (e il Pd al riguardo deve dare sempre segnali inequivoci nelle sue scelte politiche; far capire sempre da che parte sta)!..Ma è questa ambiguità che costituisce il DNA dei Cinquestelle, per i quali i problemi vanno affrontati o meno in quanto “funzionali” alla causa del consenso (l’immigrazione ad esempio o l’anti-europeismo iniziale, quando pensavano fosse più “utile” per loro cavalcare il risentimento di tanti verso l’Unione, al punto da portarli a sostenere i Gilet Gialli, mentre oggi parlano di sintonia a Strasburgo coi macroniani!!). Dall’altra parte troviamo Di Battista che ha smorzato un pò i suoi toni, ma ha posto 6 condizioni per impegnarsi attivamente nel Movimento. In particolare ne voglio sottolineare tre: la revoca della concessione di Autostrade ai Benetton, una presa di posizione chiara sul tema dei conflitti di interesse e l’istituzione di una commissione di garanzia cui parteciperanno iscritti e portavoce, ma non membri di governo, che scriva regole chiare e trasparenti su tutte le nomine in tutti i ministeri e le partecipate di Stato. Premesso che sono problemi interni loro, pure qualche considerazione và fatta. 1) I Benetton: lungi da me l’idea di prenderne le difese, ma “Dibba” ignora (o finge di ignorare) che se lo Stato ha tutto il diritto di revocare la concessione di un proprio bene è altrettanto vero che atti del genere hanno costi esosi (quindi per la comunità), tanto più che c’è una Magistratura che sta indagando e che stabilirà i livelli di responsabilità penali e relative adeguate conseguenze. Ci sono sempre però l’istinto dello scalpo da esibire, tipico della logica pentastellata, e l’immagine dei giustizieri venuti a purificare la politica a venir fuori in posizioni del genere. 2-3) Conflitti di interesse e norme circa le nomine (che vanno a braccetto): al Paese certo manca da tempo una seria legge al riguardo, anche per responsabilità della sinistra. Ma se è strano che Dibba non abbia detto una parola sulla recente norma governativa che protegge Mediaset dalla scalata di Vivendi, lo è ancor più che proprio lui, sempre particolarmente attento al problema, abbia improvvisamente taciuto (dopo essersi scagliato poco prima contro la conferma di De Scalzi quale a.d. all’ENI) sulla nomina di Lucia Calvosa alla presidenza del medesimo Ente! Lucia Calvosa è professoressa ordinaria di diritto commerciale all’università di Pisa; ha ricoperto e ricopre vari incarichi quali consigliera indipendente di TIM e altrettanto al MPS. Persona sicuramente capace, di valore e di spessore, che siede (o sedeva credo) anche nel board de “Il Fatto Quotidiano” (non c’è ombra di conflitto d’interessi in questo caso?), il cui direttore è Travaglio, lo stesso che ha finanziato i viaggi di Dibba, consentendogli di saltare una legislatura (quella in corso, in modo da rientrare nella prossima da capo politico, fidando nell’applicazione del limite ai mandati parlamentari) e garantendogli comunque introiti consistenti, mancandogli gli stipendi da parlamentare...L’istituzione poi di un comitato di controllo sulle nomine, al di fuori dal perimetro dei ministri e sottosegretari, sembra più che altro un attacco indiretto a Di Maio, il quale, per garantirsi un ruolo di rilievo nel caso di una imprevista uscita dalla politica (non si sa mai nella vita, con la storia del doppio mandato!), ha nominato da tempo 70 fedelissimi ai vertici di società partecipate e consorziate, come ricordava qualche mese fa L’Espresso, magari con l’obiettivo di ritrovarsi alla guida o nei consigli di amministrazione di qualche azienda statale..Insomma, un clima ovattato ma da guerriglia strisciante. I nostri principali alleati di governo certamente vorranno portare avanti la Legislatura, anche ingoiando il sostegno di Berlusconi se fosse necessario. Ma restano in piedi tutti le questioni laceranti per un Movimento che comincia a “parlare” il linguaggio dei partiti, contro cui si erano sempre scagliati, dichiarando però soddisfatti che “stanno crescendo”! Gianni Amendola

domenica 15 novembre 2020

OSSERVATORIO NOVEMBRE 2020

L’OSSERVATORIO (7/11/2020) Mentre scrivo arriva la notizia ufficiale della vittoria di Joe Biden alla Presidenza degli States, dopo l’esito dello scrutinio in Arizona, Pennsylvania e Georgia, avendo raggiunto la fatidica quota di 270 Grandi Elettori, superata poi nettamente; ma è evidente che gli USA sono spaccati a metà e che Trump, che non vuole accettare la sconfitta, asserragliandosi nella Casa Bianca dopo aver aizzato manifestazioni di piazza in varie città a difesa del “voto legale” (come se quello per posta, da sempre permesso ed utilizzato dagli elettori, tanto più ora in tempi di Covid, non lo sia) ed agitando lo spettro di brogli, sta giocando alla destabilizzazione. Sul voto americano bisognerà comunque fare qualche riflessione, in quanto non c’è stata l’ “onda blu” (negli USA gli stati ad appannaggio dei “democrat” sono indicati col blu, quelli dei repubblicani col rosso) prevista dai sondaggi ed il “trumpismo”, quella commistione cioè di nazionalismo economico fin quasi al protezionismo, suprematismo bianco, identitarismo, che ha portato alla costruzione di un muro lungo il confine col Messico, è tuttora vivo e vegeto, anche se temporaneamente sconfitto. Tutto ciò non porrà solo problemi a Biden, che avrà il compito di pacificare una nazione estesa come gli Stati Uniti, ma anche alle democrazie europee che, per quanto rinfrancate dal cambio di gestione politica d’oltreoceano per il conseguente ridimensionamento dei sovranisti, privati come sono della decisiva sponda di Trump, si troveranno però ad affrontarne la rivalsa perchè i vari Salvini, Orban, Kaczynski tenteranno ormai il tutto per tutto per rialzare la testa. Non è un caso al riguardo che il succitato leader leghista sia stato l’unico in Italia a sposare la linea dei brogli elettorali, durante lo spoglio delle schede ancora in corso! E’ che nella logica di certa destra il “machismo” in politica (l’uomo tutto d’un pezzo che sa parlare alla pancia del Paese e che pensa di piacere alle donne) non può tollerare la sconfitta; il capo può essere ferito, ma non può morire (politicamente s’intende). Certo, nel caso di Trump pare entrino anche altre motivazioni (debiti consistenti, se ho ben compreso, verso lo Stato) che per essere silenziate ed emendate hanno bisogno del controllo diretto del Potere, ma che possono giustificare da par suo questi comportamenti così divisivi, come pure qualche esponente repubblicano comincia timidamente a dirgli. Sembra di ritrovarsi per certi versi davanti ad un film già visto in Italia: un imprenditore miliardario indebitato scende nell’agone della politica dopo aver perso i suoi referenti politici (Dc e Psi), diventa capo del governo e quando si accorge che il proprio consenso, creato anche con la potenza di fuoco di un impero televisivo, sta rischiando di venir meno (come nel 2005-06) cambia in corsa le regole del gioco alla soglia delle elezioni politiche (donde il Porcellum), senza coinvolgimento dell’opposizione, al solo scopo di non consentire la piena vittoria degli avversari. E quando questi son riusciti lo stesso a vincere per un soffio, ecco il richiamo a brogli elettorali! Senza fare del semplicismo di comodo è evidente però che soprattutto dalla destra c’è l’emergere di determinati personaggi, i quali fanno dell’adorazione della propria persona un puntello politico fondamentale. Vien da sé, come dicevo, che la sconfitta per costoro non è ammissibile, perché un capo idolatrato dalle folle non solo si ritiene per questo “legibus solutus”, comunque insofferente a leggi e norme, ma se perde è a causa di brogli elettorali o di un complotto internazionale (un mantra questo ripetuto per anni dal centrodestra per giustificare la crisi del governo Berlusconi nel 2011, che stava portando l’Italia sull’orlo dell’abisso economico). -------------------------------------------------------------------------------------- In Italia il salvinismo, come scrissi in precedenti Osservatori, rappresenta la “fase suprema del berlusconismo”, perfettamente in linea con la politica di Trump; la richiesta di pieni poteri fatta dalla spiaggia dell’ormai famoso Papeete non era altro che questo: la trasformazione di una democrazia parlamentare, dunque rappresentativa, in una da uomo solo al comando (una “democratura”, molto difficile peraltro negli States, anche in quanto confederazione di Stati), o se non altro in una democrazia “oligarchica”, nella quale il capo ed i suoi fedelissimi decidono, dando poi modo ai mezzi di informazione, ovviamente tutti controllati o quasi, di fornire notizie ben edulcorate alle folle plaudenti. Il primo passaggio (o assaggio) di ciò sarebbe stata la prossima elezione del Presidente della Repubblica, con la nomina di un probabile “portavoce” del Capitano (questo il disegno). Non so se uno scenario del genere si sarebbe davvero potuto verificare (o potrebbe mai verificarsi) in Italia; il governo Conte bis è nato anche per impedire una simile eventualità. La sconfitta di Trump sia chiaro non basta a raffreddare i propositi sovranisti, tant’è che ogni appuntamento elettorale (e nella primavera 2021 ci saranno le elezioni per i sindaci di Roma, Milano, Napoli, Torino…), attraverso toni sempre molto accesi favoriti anche da talk show televisivi sempre più a ruota libera, diventerà motivo per dare una spallata al premier. In questo contesto però la sinistra, ed in particolare il Pd, deve tornare a parlare con la gente; non vuol essere la solita frase teorica tante volte pronunciata, ma rimasta spesso lettera morta. Ovvio che non si sta chiedendo al partito di usare il linguaggio di Trump (e di Salvini), quanto invece di saper cogliere gli umori “dai territori” (o periferie se si vuole) ed offrire un proposta che miri alla saldatura tra i disagi di tanti, aggravati dalla pandemia, e la prospettiva di un’economia non solo “ verde” (l’ambiente è un’altra emergenza), ma anche equa che porti cioè ad una vera redistribuzione della ricchezza e che consenta il rilancio della scuola e dell’università, vale a dire la formazione e la valorizzazione delle capacità di ognuno. Perché non restino parole è necessario tornare davanti alle fabbriche, specie se in crisi, ed alle scuole, non per fare gli agitatori ma per presentare idee, fattive solidarietà, capacità di ascolto, apertura concreta al mondo giovanile. Fare poi dei nostri circoli luoghi e momenti di incontro anche per non iscritti, organizzando incontri su temi politici e sociali (ripenso ad esempio a quelli sul tema della Costituzione su iniziativa dell’allora Comitato dei Garanti cui il sottoscritto faceva parte insieme con Francesco Porcellana e all’ex senatore Giovanni Saracco), creando magari gruppi di studio allargati…Il Pd in generale deve diventare sempre più il riferimento di chi rischia di venire emarginato o travolto dalla crisi economica creata dalla pandemia; ma anche, a pandemia finita, dalle distorsioni di un sistema produttivo dominato dalla globalizzazione e di un welfare che sta andando in sofferenza. Per quanto riguarda i nostri principali alleati di governo (i Cinquestelle) stavolta non spenderò troppe parole. Vivono un periodo di grande incertezza che probabilmente li porterà a scindersi. Ma il loro grande problema sta nella struttura verticistica ed assoluta che si son dati. Il gruppo europeo dei Verdi, cui i Pentastellati stan guardando con interesse per farne parte, hanno già posto infatti la questione Casaleggio e della sua piattaforma Rousseau che pone seri problemi circa la democrazia interna; ma rompere con il figlio del fondatore vuol dire disgregare il Movimento che diventerà così tutt’altra cosa. Se i grillini avranno la capacità di riflettere seriamente sul perché del loro continuo crollo di consensi (cosa per ora improponibile per loro) e se esamineranno seriamente che senso ha nel Movimento il concetto di trasparenza, non solo riguardo la gestione dei dati personali degli iscritti, ma le scelte concrete della politica, molto spesso ondivaghe (come ora sui “confini del mare”) e cambiate in corsa, allora è possibile per loro arrivare ad una sorta di “catarsi” diventando una forza spendibile all’interno di una precisa scelta di campo, altrimenti (come temo) faranno di tutto per non rompere dietro una unanimità di facciata; proprio come quei partiti cui pure dicono di non voler mai somigliare. Gianni Amendola