L’OSSERVATORIO. Non recedere dallo “ius soli”! Siamo tutti convinti che le leggi le approva il Parlamento, il quale a norma di Costituzione esercita il Potere Legislativo, e che mancando sulla carta i numeri perché una delle 2 Camere (in questo caso il Senato) possa approvarle un governo (chiunque esso sia) andrebbe incontro ad una sconfitta. Pure, quello dello ius soli è un punto irrinunciabile, non solo perché è un tema “giusto”, di civiltà, “di sinistra”, ma perché il non affrontarlo darebbe il segno di una rinuncia, di un cedimento alle paure. Certo, resta da capire il perché in tutti questi anni il Pd non sia riuscito a svolgere quella funzione, che pure poteva avere in quanto partito cardine del governo, di “orientamento dell’opinione pubblica”, vale a dire il far passare un messaggi e contenuti seri che svelassero le menzogne della destra e dei “5 Stelle”, di tutti coloro cioè che soffiano sul fuoco dei migranti, identificando “volutamente” l’accoglienza che a loro si deve con un’immediata cittadinanza (e lo ius soli non è certamente questo!). Quello che preoccupa è questa subalternità ai temi della destra, quasi vi sia un’incapacità strutturale del partito a saper comunicare. Speriamo ora che questo sottile asse che probabilmente esiste tra governo Gentiloni e Vaticano, ovviamente assai sensibile ai temi dello ius soli e dello ius culturae, dia ulteriore spinta, indipendentemente da ciò che vorrà fare Alfano e la sua pattuglia di AP. Si andrà incontro ad una sconfitta al Senato? Bene, ma almeno il partito avrà salvato il suo onore, se non altro si perderà (se si perderà) avendo lottato per una legge seria, la responsabilità della cui non approvazione andrà ascritta solo a meri calcoli elettorali di altri. Chi ne uscirebbe meglio sul piano etico-politico? Il Pd o AP? Il centrodestra o i “5 Stelle”? Forse si pagherà un prezzo elettorale, ma sarà davvero così? E se invece una parte almeno del popolo della sinistra, che da tempo non và votare, apprezzando una tale iniziativa, ricambiasse finalmente nel segreto dell’urna? A questo punto però si apre il discorso sulle alleanze e quindi sulla legge elettorale. Che vuole fare al riguardo il Pd? L’offerta di candidature per rappresentanti del Campo Progressista di Pisapia, ammesso che ci sia stata davvero ed in questi termini, ha il fiato corto perché rimane in una logica di “inglobamento”, di listone; invece la prospettiva politica deve essere quella di un serio, forte e costruttivo confronto programmatico, per il Paese e per la sinistra. In altri termini, perché si crei davvero un “campo progressista”, di cui il Pd come valore e come forza non potrà che essere centrale, si imporrebbe una revisione di alcune scelte fatte (o non fatte) dal governo in questi anni, dal lavoro agli investimenti pubblici, dalla Scuola alla Sanità, dai rinnovi dei contratti (vergognose però, se vere, le cifre che “girano” in questi giorni circa gli aumenti dopo 8 anni di blocco salariale: il Pd rischia la catastrofe elettorale!!) ad una seria riforma fiscale, dalla tutela dello Stato sociale alla gestione seria ed oculata del territorio, così “maltrattato” da terremoti ed alluvioni. Il tutto con animo costruttivo, perché se la messa in discussione di alcune leggi viene presa come “un attacco personale”(in quanto ritenute “identitarie”) un campo progressista non ci sarà mai. Mi pare questo il punto dolente della sinistra oggi, che offre un panorama non confortante, dove covano reciproci rancori, dove ancora ci si rifiuta di valutare quegli insuccessi (il referendum in primis) che hanno cambiato nettamente una stagione politica che sembrava inarrestabile. Mancano ancor’ oggi infatti convinti accenti autocritici sul Jobs Act, sulla Buona Scuola che hanno contribuito in modo imponente alle ultime sconfitte del partito (e le ultime Feste dell’Unità in Emilia-Romagna così poco frequentate han dato di questo un’immagine drammaticamente significativa dell’abbandono di gran parte dell’elettorato), come se toccare certi argomenti, al di là delle strumentalizzazioni della destra e dei “5 Stelle”, voglia dire in assoluto delegittimare Renzi, ridimensionandolo politicamente. Come già detto in altri precedenti “Osservatori”, la prospettiva della ricostruzione di una forte sinistra di governo pone in ultima analisi la questione della leadership; Renzi non ha intenzione di mollare la prospettiva di tornare a Palazzo Chigi, ma il problema è che o il partito diventa “inclusivo” a sinistra (dall’ “io” al “noi”) o si rischia una rottura insanabile (come con altre parole ha ricordato Romano Prodi). C’è da fare prima tutti un passo indietro (anche certi toni di esponenti di MP-Art.1 lasciano trasparire un malcelato risentimento, comprensibile umanamente, ma non produttivo “politicamente” alla lunga..); poi se si arrivasse ad una visione unitaria, circa i problemi e le loro soluzioni, tra il Pd e le forze alla sua sinistra, si dovrà porre la questione delle “primarie di coalizione”, per restituire ai militanti ed agli elettori la possibilità di esprimersi al riguardo (sarebbe una formidabile occasione di ri-motivazione generale). L’impegno con cui si lotterà in Parlamento per arrivare allo ius soli potrà essere sin d’ora un banco di prova per una “unità della sinistra”, un viatico, speriamo, per la prospettiva di un governo del Paese. L’investitura di “Giggino”. Le primarie on line dei “5 Stelle” per la scelta del candidato-premier, anticipate di un giorno per prevenire azioni di hackeraggio, sono diventate ormai una barzelletta (ma non da ora, basti pensare alle “comunarie” Genova e alle “regionarie” in Sicilia); Luigi Di Maio (Giggino per gli amici) è infatti da anni la persona indicata da Grillo e Casaleggio, per la quale, come è accaduto per la Raggi a Roma, è stato cancellato il divieto di presentarsi se indagati (e Di Maio lo è), oltre alla norma capestro, forse non ufficializzata ma non certo inventata, per la quale chi si fosse candidato per la premiership e poi fosse risultato sconfitto non si sarebbe potuto presentare nemmeno come candidato in Parlamento! Insomma, norme “ad personam” (ad Gigginum”) e ci si domanda dove sia andata a finire la “democrazia partecipata” della galassia pentastellata, tanto più che chi risulterà vincitore (Di Maio affronterà alle primarie 7 aderenti al Movimento nei territori, del tutto sconosciuti a livello nazionale) sarà poi il leader assoluto dei “5 Stelle”, la qual cosa sta facendo infuriare l’ala più ortodossa. Pur dovendo mantenere dovuto rispetto per la figura di Di Maio (come per altre) non si può non notare però come, sia nei quotidiani sia sul web, stiano circolando battute e vignette del tipo “ Candidato premier per i 5 Stelle, da un alto Di Maio dall’altro il nulla : sarà un bel derby”, ed ancora “L’enfant prodige ha baciato la teca di san Gennaro e subito dopo ha azzeccato un congiuntivo”; quasi a segnalare la scarsa caratura che gli viene riconosciuta . Potremmo magari sbagliarci al riguardo, ma se persino Marco Travaglio de “Il Fatto Quotidiano”, giornale da sempre vicino ai “5 Stelle”, parla ora di inadeguatezza, incompetenza, incapacità alla luce dei casi che stanno verificandosi in Sicilia, (dalle loro primarie annullate all’inquisizione del sindaco di Bagheria per abusivismo), vuol dire che certi timori sono tutt’altro che infondati. Sono i grillini (anzi i “dimaini”) del tutto privi di una prospettiva politica, non si sa cosa vogliono sulla Scuola, la Sanità, l’Università, la politica estera, il fisco (Grillo evasore permettendo)… Motivi in più per sperare in una ricomposizione della sinistra: altrimenti a chi lasceremo questo Paese? Gianni Amendola
Don Nino
6 anni fa
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