L’OSSERVATORIO.
La crisi istituzionale.
Per l’ennesima volta rimetto mano al presente articolo, a motivo dell’estrema variabilità delle situazioni, spesso contraddittorie, circa la soluzione della crisi istituzionale; il panorama della politica ogni giorno ci offre una novità imperscrutabili. Al momento (mattina del 31/5) la situazione è seguente: forse si riapre la possibilità di un governo “giallo-verde” con Conte richiamato nel ruolo di Premier e con lo spostamento del prof. Savona dall’Economia alle Politiche Comunitarie (!!!). Se passasse quest’ultima ipotesi francamente saremmo sconcertati: alla luce dei motivi che han portato il Presidente Mattarella a non firmare la lista dei Ministri precedente, risulterebbe inspiegabile il dirottamento (ma sarà davvero così?) di Savona al suddetto Dicastero….Ci permettiamo comunque, pur a governo non costituito, alcune riflessioni su questa crisi istituzionale senza precedenti in Italia, peraltro latente, insita sin dall’inizio delle trattative per la composizione del nuovo Esecutivo. All’indomani del 4 marzo il Movimento “5 Stelle” aveva parlato di vittoria, di 11.000.000 di voti conseguiti, per cui gli sarebbe spettato l’onere del cosiddetto “Governo di cambiamento”. Luigi Di Maio, che aspirava come non mai alla Presidenza del Consiglio, ha giocato su due tavoli, prima cercando di sganciare la Lega dal Centrodestra, a motivo di Berlusconi, poi, visti inutili i suoi sforzi, cercando di coinvolgere con lo stesso programma il Pd, quasi si trattassero di due entità sovrapponibili (Lega e Pd). In entrambi i casi avrebbe fatto valere il suo 32.7% contro il 17% della Lega ed il 18% dei “dem”, allo scopo di ottenere il premierato. Ma già prima del voto del 4 marzo Giggino aveva avuto un atteggiamento sul filo della scorrettezza costituzionale, presentando al Quirinale la lista dei suoi ministri (tra i quali Conte), e questo è stato il primo sgarbo costituzionale. Col “no” del Pd, al fine di sbloccare l’impasse che si era creato, la sua formale rinuncia (“mi faccio da parte” disse) rispetto al ruolo di Premier ha permesso lo sganciamento di Salvini da Berlusconi, dando vita alla costruzione del programma di governo (cioè del contratto); entrambi avranno certamente parlato tra loro, nonostante le affermazioni televisive a beneficio dei gonzi (“stiamo discutendo solo dei contenuti”), anche dei posti ministeriali da suddividersi. Hanno dunque indicato, dopo un parto lungo e faticoso, non una rosa di nomi come ci si aspettava, tra i quali il Capo dello Stato avrebbe fatto la sua scelta, ma un nome “secco”: della serie “o prendi o lasci” (secondo sgarbo istituzionale)! Mattarella, che pure aveva loro concesso tutto il tempo richiesto, si è trovato difronte l’ennesima forzatura, in quanto a norma di Costituzione la scelta del Premier spettava a lui. A quel punto non poteva non scegliere che Giuseppe Conte; ma è stato sull’elenco dei Ministri che la situazione è “inevitabilmente” esplosa, non solo perché la lista era già “bella e fatta” (terzo sgarbo istituzionale), ma anche perché la casella del Ministero dell’Economia portava il solo nome di Savona che aveva parlato, appoggiato (quantomeno non pare averne preso le doverose distanze) il “piano B”, vale a dire la via di uscita dalla moneta unica (c’è stato un meeting nel 2015 presso la Link University Campus di Roma, un’Università privata da cui attinge personalità anche il Movimento, nel quale si era parlato con dovizia di particolari di un possibile ritorno alla lira in un week-end! Come un blitz!). Trattandosi di un punto delicatissimo, che và ad incidere sulla qualità della vita dei cittadini, oltre che degli equilibri politico-economici dell’Unione, Mattarella ha tenuto il punto fino in fondo. Si dirà: perché Salvini non ha proposto Giorgetti? Perché ha cercato e voluto lo scontro istituzionale, drogato dall’idea di un nuovo bagno elettorale, sostenendo in questo, insieme con Giggino, la fola del governo scelto dal popolo per cui nessuno, tanto più se non eletto, può interferire (pur sapendo che non poteva sostenere una cosa del genere)! C’è stato quindi un preciso disegno la cui posta era” il Capo dello Stato”, vale a dire l’unico che per ruolo costituzionale può opporre ostacoli alla logica del “chi vince fà quel che gli pare”, amaro lascito del Ventennio politico appena trascorso! Del resto Salvini lo aveva anticipato testualmente alla Meloni ed a Licia Ronzulli di FI: “Il Governo Conte ha il 50% di possibilità: o mi riconoscono gli Interni , la sottosegreteria alla Presidenza ed il ministero dell’Economia coi nomi da me proposti o cade tutto”! Tale frase si commenta da sé…A coloro che criticano Mattarella per aver ecceduto dai suoi poteri costituzionali và intanto detto che nessuno di costoro (dei critici) ha avuto da ridire circa l’atteggiamento “a-costituzionale” tenuto da Di Maio e Salvini (come sopra ho puntualizzato); non è vero poi che si è voluto colpire il libero pensiero di un cittadino (il prof. Savona) sull’Euro, quasi a prospettare un reato d’opinione compiuto da Mattarella, perché se così fosse il Capo dello Stato avrebbe posto il veto anche su Salvini, le cui posizioni sulla moneta unica e sull’Europa sono note da tempo! C’è ben altro e l’insistenza con la quale il leader leghista ha insistito ed insiste (al momento) sul nome del Professore è perché davvero l’ipotesi di un’uscita dall’Euro era meno campata in aria di quanto si pensasse; quel piano B in realtà poteva diventare “A” (del resto nessuno lo direbbe mai prima): ecco perché durante la campagna elettorale non si è mai affrontato, se non di sfuggita e coi soliti slogan contro la Germania e la Francia, il tema di un’uscita dall’Europa. Del resto, la prima bozza del “contratto” presentata a Mattarella faceva rabbrividire, con quell’assurda richiesta di chiedere alla BCE l’azzeramento del pesante debito italiano, con un programma di Governo che non avrebbe avuto le coperture e che prevedeva l’introduzione di mini-bot.. Cose che non potevano non rappresentare un colpo all’Euro ed all’Europa e che sono state poi cancellate; l’intenzione però era manifesta! Evidentemente, a fronte dell’irrinunciabilità per Salvini (e fino all’altro ieri anche per Di Maio!) dell’inamovibilità del prof. Savona, mettendo insieme quanto ora detto sulla prima bozza programmatica con tutta la procedura “anomala” della formazione della formazione del Governo, offertagli “a scatola chiusa”, Mattarella ha “dovuto” porre un veto, al fine di evitare una deriva istituzionale inarrestabile, richiamandosi agli articoli della Carta Costituzionale. Tutto ciò che ne è conseguito poi è stato uno spettacolo indecente; Di Maio ha lanciato, durante la trasmissione di Fazio, la proposta dell’impeachment, che non aveva alcun fondamento giuridico (ma chi lo consiglia? Il ministro della Giustizia “in pectore” Bonafede davvero non ha avuto solide basi per fermarlo?), ma serviva solo per riprendersi la scena, ormai rubatagli da Salvini, e per “rimotivare” le truppe, che invece a quanto pare, lo hanno un pò “strattonato” nell’incontro di ieri del gruppo del Movimento, salvo tornare “a Canossa” a scusarsi con Mattarella ed avanzargli la proposta del governo politico “senza Savona”, obbligando così Salvini a dover prendere una decisione. L’obiettivo del capo della Lega rimane però il ricorso al voto, al fine di capitalizzare l’onda lunga che potrebbe portarlo al ad oltre il 20%, rimescolando ruoli all’interno del Centrodestra. Del resto lui sà bene che l’eventuale governo coi Cinquestelle non durerà l’intera Legislatura; l’anno prossimo ci saranno le Europee e si ridisegneranno nuovamente i rapporti di forza tra i partiti. Certo è che non vuol esser costretto a tornare dal Centrodestra col “cappello in mano” (cosa che sà di rischiare in caso di fallimento dell’esperienza di Governo con Di Maio)..Vedremo nelle prossime ore cosa accadrà. Il parto di questo governo, se mai ci sarà, ha segnato comunque il Paese; manca una cultura giuridica diffusa (non è che si debba diventare tutti costituzionalisti) per cui “istintivamente” la gente riesca a cogliere le “forzature” e ad aver chiari i “bilanciamenti” che la nostra Carta prevede. Si tira la Costituzione a seconda della convenienza politica e ciò spiega bene le giravolte di Di Maio che il giorno prima lodava la correttezza e l’equilibrio del Capo dello Stato, il giorno dopo, con la rinuncia di Conte ne chiedeva l’impeachment; per non dire delle uscite di Di Battista, quale novello “Ciceruacchio de noantri”, che in occasione del referendum del 4 dicembre 2016 aveva girato l’Italia in moto parlando, in chiave anti-pd, della bellezza della Costituzione, mentre dopo la mancata firma di Mattarella lo ha “redarguito” per aver ostacolato in tal modo il Governo del cambiamento!!!
Il ruolo del Pd.
Non tornerei più per ora sul fatto di non aver appoggiato, ponendo però in quel mentre precise condizioni politico-programmatiche, il tentativo all’inizio di Di Maio. Il problema è che resta la situazione interna ancora non chiara e non definita (o se vogliamo “troppo chiara” e troppo “definita..). Se si andasse alle urne “a breve” il danno sarebbe pesante, in quanto manca una proposta, un’autocritica sulla debacle elettorale e quindi una “sicura” figura di leader, in grado di traghettare rapidamente il partito al di là della sua perdurante crisi. Il nome di Gentiloni è sicuramente autorevole anche in virtù della sua esperienza di capo di Governo; ma è all’interno del Pd che devono verificarsi i cambiamenti necessari, non solo con la scelta del nuovo Segretario, ma anche con il rinnovamento complessivo degli organi dirigenziali, perché sarebbe inspiegabile, come lo è peraltro, che tutto resti immutato dopo la catastrofe del 4 marzo. Non si tratta di dare la colpa a Renzi, ma un partito, quando consapevole di aver perso le elezioni in quel modo perché non è stato evidentemente in grado di capire e di parlare con quel mondo che pur doveva rappresentare, deve sentire “da dentro”, direi in modo spontaneo, l’esigenza di cambiare modi e linguaggio, senza che ciò voglia dire condanna ed ostracismo verso nessuno. Ecco, manca questo “sentire dall’interno”.. Ciò non è indifferente nella percezione della gente che pure ci guarderebbe con simpatia; bisogna evitare come la peste il voler far credere che “si cambi tutto perché nulla cambi”. Sarebbe irrispettoso verso Gentiloni (se accetterà l’incarico), ma segnerebbe anche la morte definitiva del Pd e, col quadro politico che si sta delineando, anche lo stravolgimento se non la fine della democrazia parlamentare in Italia.
Gianni Amendola
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