L’OSSERVATORIO (6/7/2018).
Che sarà del Pd.
Vedremo cosa uscirà dall’Assemblea Nazionale domani, in cui verrà eletto “pro tempore” Maurizio Martina, sperando che non ci si spacchi sulla data del Congresso; quel che è certo è che in prospettiva la candidatura di Zingaretti alla Segreteria sta già, se non proprio allarmando, certamente mettendo una certa inquietudine in ampie zone del partito, in quanto “Montalbano’s brother” è figura autorevole, in grado di traghettare il Pd (perlomeno c’è da sperarlo) fuori dalle attuali secche, sicuramente non in modo “tranchant”, ma con mano ferma e senza fare sconti a nessuno, com’è giusto che sia! Si impegnerà non a dividere il partito, ma ad unirlo attorno ad un progetto di centrosinistra “largo” (alla base della sua vittoria nel Lazio) cui tutti saran chiamati a contribuire, pur significando questo il netto superamento di una visione “autoreferenziale” e della logica dell’ “uomo solo” al comando. Con l’imminenza delle elezioni europee, che potrebbero ahimè sancire drammaticamente la fine dell’odierno assetto politico del nostro Continente, si può ben comprendere l’allarme di alcuni che vedono in una nuova leadership del Pd il rischio di uno scompaginamento degli attuali quadri dirigenziali ed equilibri, oltre che dei criteri per le candidature (cosa evidentemente di non poco conto!). Ritorna dunque il “solito”, ma purtroppo ancora valido, discorso sul “passo indietro” che ad oggi tanti non han fatto (né sembrano intenzionati a fare), ma che viene imposto oggettivamente dalla realtà (e che realtà: una serie di sonore sconfitte elettorali!). Il passo indietro, si badi bene, non vuol dire la condanna o il gettare la croce addosso ad una o più persone, quanto invece la consapevolezza di poter giocare una nuova partita (la rinascita del Pd) da una posizione diversa; in altri termini contribuire al suo rinnovamento sì con le proprie idee, ma all’interno di un confronto sereno, maturo e forte che deve farsi sintesi e avere come fine la crescita di tutto il Partito democratico, non certo la visibilità di qualcuno o di un gruppo. Perché se si continua a ragionare su come “riprendersi il partito”, magari tramite “interposta fedelissima persona” (non mi riferisco a Delrio ammesso che davvero si candidi), vuol dire voler riaprire una stagione di tensioni interne, col ricordo di una maggioranza che “poteva permettersi di sfottere” la minoranza (ricordiamo tutti il “Fassina chi?” o il famoso “Ciaone”..). Se infatti quegli atteggiamenti, che non sono nati da un cattivo carattere quanto da una concezione quasi assoluta del proprio ruolo e del proprio potere, non verranno riconosciuti ed emendati seriamente vorrà dire immolarsi ad una idea un po’ vendicativa e prepotente dei rapporti interni e della politica, con inevitabili drammatiche conseguenze che stiamo già pagando. L’unica cautela che la candidatura di Zingaretti impone è il suo eventuale “doppio ruolo” di Presidente della Regione Lazio (dove ricordiamo non ha la maggioranza in Consiglio) e quello appunto di possibile Segretario del partito; è ovvio che ogni eventuale difficoltà nella guida della sua Regione non potrà non ricadere in qualche modo sul suo ruolo di leader del Pd, a “beneficio” degli avversari politici esterni e (ahimè) anche “interni”, cosa di cui peraltro è del tutto consapevole! Maurizio Martina è certamente persona per bene, seria, preparata, ma “soffre” per il fatto di essere da un lato appoggiato proprio da quell’attuale gruppo dirigente del partito che all’inizio lo ha osteggiato (ora invece lo sosterrebbe forse perché credono sia più “controllabile” di Zingaretti), dall’altro, forse proprio per i motivi appena detti, non sembra avere convintissimo gradimento dalla minoranza, che pure non lo ostacola. Ecco perché, pur riconoscendo a Nicola Zingaretti e a Maurizio Martina i loro rispettivi meriti conquistati sul campo, ritengo che una persona come Fabrizio Barca possa essere presa in considerazione, un candidato di rango, autorevole e capace in quanto non avrebbe altri condizionamenti di sorta, oltre che per la sua “alterità” rispetto alle logiche interne, tuttora saldamente radicate nel partito; mi rendo pienamente conto che per molti trattasi di un’ipotesi stravagante, quasi una voce isolata, fomulata peraltro da chi scrive che notoriamente conta poco o nulla… La sua candidatura potrà nascere solo da una forte spinta dalla società civile (per ora non credo proprio dall’interno del partito), da quel mondo cioè da sempre “orientato” a sinistra, e da figure di esso rappresentative, dall’economia, dal sindacato, dalla cultura, dall’università e dalla ricerca, dal giornalismo…Io spero solo come tutti noi in definitiva che il Pd non arrivi all’irrilevanza, perdendo ulteriormente quote sensibili di elettorato, per il rifiuto di capire che una stagione si è chiusa e che ciò significa sì cambio di persone, ma soprattutto di idee e di comportamenti, altrimenti le Europee del 2019 saranno il nostro definitivo “de profundis”!
Il dominio della rete.
Nel popolo italiano, secondo una recente indagine ISTAT, sta crescendo una quota consistente di rancore sociale, di individualismo, pur se vi sono tuttora esempi di non comune e silenziosa carità verso il prossimo; la rete, i social network sono lo specchio di questo cambiamento. Lo si vede quotidianamente: è bastato che pochi giorni fa il campione di pallavolo naturalizzato italiano (quindi “italiano”) Ivan Zaytsev postasse su Facebook la notizia dell’ avvenuta vaccinazione della figlia per essere coperto di improperi da parte dei “no vax”. Si insulta quindi, coperti vigliaccamente dall’anonimato, per il semplice fatto che qualcuno vuole esprimere liberamente un’idea differente da quella di coloro che si ritengono maggioranza e detentori di verità; siamo ormai ad una forma di nazismo “on line”, dove la caccia “al diverso” (di pensiero, di cultura, di opinione politica…) è aperta ogni volta che viene manifestato un ragionamento difforme dal proprio! Lo si è visto anche per il ricovero e conseguente intervento chirurgico di Giorgio Napolitano, con gli auspici persino “di morte”, solo perché per tanti l’ex Presidente rappresentava il Potere, la casta, colui (del Pd) che avrebbe necessariamente difeso interessi inconfessabili. Per non parlare ancora degli insulti verso monsignor Bettazzi, Vescovo Emerito di Ivrea, ex Presidente di Pax Christi, da sempre fautore del dialogo tra Chiesa e Mondo del Lavoro (all’epoca di Berlinguer anche direttamente col PCI), per aver preso posizione chiara sul problema dei migranti, evidentemente interpretata dai tanti fondamentalisti della Rete come un attacco al Governo! Tutto ciò sta verificandosi quasi si volesse arrivare ad una sorta di pensiero unico, per cui non è più tollerabile un’opinione contraria! Questo malanimo, questa cattiveria, questo livore emergente, uniti alla diffusione spesso “colpevole”, o per meglio dire “interessata”, di notizie false, le vere e proprie bufale (cliccare su una “fake new” vuol dire aumento di introiti pubblicitari per chi le diffonde, se lo fanno in tanti), stanno creando un humus “culturale” (o sub-culturale”) per cui chiunque può pontificare su tutto, può deridere l’altro anche su argomenti di non propria specifica competenza (i vaccini per esempio), come se il sapere, la conoscenza, la competenza siano espressione di “casta”, di “potere” usate contro la gente comune… Si comprende allora perché un partito come i Cinquestelle sia arrivato ad oltre il 30%; certamente grazie anche ad una politica che spesso non ha risolto i problemi e che è sembrata luogo per privilegi personali; ma direi soprattutto per il diffondersi della Rete come pratica dell’offesa pesante, dell’accettazione acritica di notizie senza necessarie verifiche, senza mai un confronto o il benchè minimo dubbio circa la validità delle proprie convinzioni, come se tutto ciò che viene propalato “viralmente sul web” abbia una sua sacralità e intangibilità a prescindere. In questo contesto il Movimento ha dunque pescato e creato la sua base elettorale; come se avesse detto ad ogni frequentatore dei social “portiamo noi la tua rabbia, il tuo rancore in Parlamento, quasi ci fossi tu stesso seduto su quei banchi a dire le cose che scrivi”. Si comprende allora come per la sinistra, di fronte all’emergere ed al radicarsi di questa nuova forma di comunicazione ed informazione, la riconquista di una nuova centralità politica sia compito improbo, perché il terreno al momento non è per niente idoneo per chi vuole usare la ragionevolezza, l’argomentare competente pacato ma deciso (cose che peraltro la sinistra non ha sempre saputo fare, dando immagine di un’autosufficienza che non ha comunicato al “cuore” della gente) nello spiegare i propri convincimenti e valori. Questa però è la sfida di oggi e se la vuole vincere l’unità non fittizia a sinistra, insieme con la consapevolezza degli errori fatti e della necessità “quasi etica” di riallacciare un tessuto sociale così lacerato, possono diventare armi importanti.
Gianni Amendola
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