L'OSSERVATORIO (7/6/2020) Ce n'è di carne al fuoco nel quadro politico odierno! Dalle tensioni nella maggioranza, specie tra il Pd ed il premier, per la convocazione degli Stati Generali dell'Economia, fatta a quanto pare da Conte all'insaputa del titolare dello specifico dicastero (Gualtieri), alla persistente agitazione nel mondo pentastellato, acuita dalla paventata candidatura a capo politico di Di Battista; dalla scelta sul ricorso o meno al MES, in attesa del “bazooka” della Bce, rilanciato ulteriormente dalla Lagarde, e del Recovery Fund alla notizia dei circa 5000 esuberi dell'Ilva di Taranto, essendo venuti meno evidentemente gli accordi stipulati col governo da ArcelorMittal prima della pandemia, fino ad arrivare alle manifestazioni di piazza che la Destra italiana, in tutte le sue declinazioni, ha organizzato in chiave anti-governativa (e non solo) nel giro di pochi giorni. Circa gli Stati Generali sull'Economia qualcuno ha ricordato il Re Luigi XVI che prese un'iniziativa del genere per curare i problemi della Francia dell'epoca, sfociati tre anni dopo però nella Rivoluzione con la presa della Bastiglia (1789); senza scomodare la storia c'è da dire che se l'idea in sé può essere condivisibile, il modo di averla proposta (senza un confronto coi partner di Governo) lascia diverse peplessità. Perchè Conte ha agito così? Probabilmente il premier, che potrebbe candidarsi alle suppletive per il Senato nel collegio di Sassari, reso vacante dalla prematura scomparsa della pentastellata Vittoria Bogo Deledda (ed anche su questa ipotesi vi sarebbe qualche fibrillazione nel Pd), sta cercando di ritagliarsi sempre più un ruolo se non autonomo sicuramente più netto, più decisionista, consapevole che i contrasti tra Cinquestelle e Pd rischiano di arrivare ad un punto di non ritorno tale da impedire l'attività dell'Esecutivo, e proprio in un momento come l'attuale; poi perchè (chissà) potrebbe creare una lista personale che qualche sondaggio accredita ora intorno al 14%. D'altra parte, se “si appoggiasse” di più al Pd, a motivo di quella storia ed esperienza da cui proviene, verrebbe tacciato di opportunismo da coloro che lo proposero come Primo Ministro, aumentando quindi le tensioni all'interno della maggioranza che, ricordo, si basa sui numeri scaturiti dalle elezioni politiche del 2018. Pare comunque che, previsti inizialmente per lunedì 8 giugno, gli Stati Generali si terranno giovedì 11, in modo da presentarsi al tavolo dell'incontro con proposte meglio definite e circostanziate. Ciò che conta è che si prendano al più presto misure in grado di sostenere le attività economiche di coloro che la pandemia ha messo in ginocchio, da subito, senza aspettare settembre quando potrebbero partire numerosi licenziamenti, come si sa bloccati fino ad agosto. La rapidità nell' ottenere i fondi stanziati è fondamentale; certo è doveroso segnalare che anche agli autonomi (fatto storico) viene riconosciuta per la prima volta la Cig, ma ciò non basta, se poi il denaro non arriva ora! Al di là di tutto, il Pd deve essere protagonista di questa fase politica, per incisività e radicalità di proposte e capacità di portarle avanti. Apparire come partito europeista và benissimo, tanto più che le misure previste da Bce e Commissione stanno togliendo argomenti alla destra sovranista, specie a quella parte di essa che sogna ancora il ritorno alla lira, ma proprio per “storia ed esperienza” (il Pd) non può essere percepito distante dai ceti popolari più colpiti dalla crisi, già presente peraltro prima della pandemia, a partire dalle periferie. Non dovrà essere più il “partito delle Ztl”! Purtroppo il governo dà l'idea di scricchiolare sempre più a causa anche, come già detto, della balcanizzazione attuale dei Cinquestelle. A tal proposito nella recente intervista rilasciata all'Huffington Post Di Battista, il principale candidato alla direzione del Movimento, dopo gli apprezzamenti a Conte per la gestione della crisi sanitaria, ha dichiarato che “essendo grillino, non stupido” non mira alla caduta dell'Esecutivo, anzi ha auspicato per i Cinquestelle sulla base dei numeri in Parlamento una maggiore consistenza di posti di rilievo, considerando che al Pd son toccati i ministeri economici. Ma alla domanda su come considerasse la probabile fine del divieto alle candidature dopo due mandati, ha risposto “molto diplomaticamente”, di chiederlo agli altri non a lui che ne ha vissuto uno solo. Di Battista, con molta astuzia direi, fiutando il rischio di dover poi chiudere l'esperienza parlamentare se si fosse ricandidato nel 2018, ha “preferito” di girare il mondo grazie all'aiuto consistente di Marco Travaglio, direttore de “Il Fatto Quotidiano”, che ne ha finanziato i reportage prima dal Centro-America, poi dall'Iran. Quanto abbia avuto come riconoscimento economico non è dato da sapere, ma la redazione del quotidiano pare abbia avuto all'epoca un confronto molto franco col direttore, verosimilmente proprio sull'entità della cifra. D'altra parte Travaglio può ora vantare di aver ottenuto di fatto (non è cosa da poco ed è preoccupante a mio avviso) tramite interposta persona (Lucia Calvosa passata dal cda del quotidiano alla presidenza dell'ENI) un ruolo di rilievo dentro gli ingranaggi del governo, che nel frattempo ha confermato De Scalzi quale Amministratore Delegato, persona contro cui Di Battista ha combattuto perchè venisse rimosso (a motivo di un avviso di garanzia nel 2014) fino a poco fa; polemica rientrata infatti dopo la nomina della Calvosa! Fin qui potremo dire “tutto normale” (o quasi!), solo che l'anno di assenza di “Dibba” da Montecitorio lo pone adesso nella migliore posizione per guidare il Movimento, anche perchè una parte della base dura e pura non vedrà di buon occhio la fine del divieto del doppio mandato. Ed è qui che il discorso si fà opaco; è vero: anche loro hanno in programma gli Stati Generali, rimandati per la pandemia, dove ne definiranno il nuovo profilo (con relativi incarichi di vertice), ma qualcosa, pur se non detta, si intravede. Di Maio vuole tornare ad essere leader indiscusso ed in nome di ciò sta muovendosi in modo felpato ma molto mirato. Già detto dei 70 fedelissimi collocati in enti, società partecipate, banche; pare esista anche un disegno, che và dall'inizio del semestre bianco alla prossima legislatura nel 2023, per il quale si riconoscerebbe al Pd la scelta della candidatura alla presidenza della Repubblica, una volta terminato l'incarico di Mattarella, dato che i Cinquestelle per loro esplicita ammissione non hanno figure “adeguate” per quel ruolo, mentre Di Maio, in cambio, diventerebbe Presidente del Consiglio (o tutt'al più vice-Presidente). In tal modo chiunque sarà il capo politico dei grillini dovrà tenerne conto e sarà davvero interessante vedere Di Battista come vivrà il suo incarico (ammesso che lo avrà davvero), lui movimentista doc, alle prese con un gruppo parlamentare verosimilmente “governativo” ed ormai “casta” a tutti gli effetti! Di Maio non ha mai amato questa alleanza col Pd, ma oggi con la pandemia ed i suoi effetti capisce che Conte può durare fino al termine della legislatura; difficile per Giggino pensare a quel punto ad un riavvicinamento a Salvini (iniziale obiettivo) per cui, amando molto il “potere”, prova a disegnare sin d'ora una prospettiva per arrivare a patti col Pd. Ma al di là di ogni cosa quel che manca a Di Battista, come a Di Maio e agli altri, è la capacità di autocritica: che vuol dire oggi, dopo una legislatura di governo, essere “grillino”? E perchè Di Battista, sempre in quell'intervista sopra citata, accennando alle sconfitte elettorali in serie, dopo il trionfo del 2018, non ha avanzato un'ipotesi di spiegazione che sia una? Sì, certo, parlerà probabilmente durante i prossimi stati generali pentastellati, ma per come si sta collocando (molto vicino a Paragone, ex-leghista non lontano da Salvini) e per come viene visto da tanti parlamentari, che apertamente dissentono dai suoi toni e modi, quali prospettive darebbe al Movimento se non il ritorno agli slogan ed alle parole d'ordine con cui sono arriavti al 32%? E quale sarà il rapporto con la Casaleggio Associati, lui che parla sempre di lotta ai conflitti d'interesse? Non è cosa tutto ciò che non riguardi molto il Pd! Non solo per le fibrillazioni pentastellate che fan traballare il governo, ma anche perchè è possibile che il Movimento si spacchi davvero. Qui si dovrebbe aprire allora una riflessione sul sistema elettorale (un po' troppo messa da parte) perchè se i voti che Salvini sta perdendo (secondo i sondaggi) vanno in grossa parte alla Meloni si rimane sempre in ambito del centrodestra; ma se il Pd, dato intorno al 21-22%, non riesce ad ampliare la sua base elettorale con chi mai potrà governare? Tra I.V. e il movimento di Calenda se n'è andato dal partito un 4-5%, mentre LeU rimane sul 3-3.5% che sommato al 21-22% (in caso di ritorno dei transfughi) darebbe un 25-26%. Potremmo comunque dire che in Italia esiste complesivamente un'area di centrosinistra che si riconosce in quei partiti intorno al 30%, potenzialmente di più. E' vitale per il Pd allora recuperare parte di quell'elettorato che gli ha voltato le spalle per andare dai Cinquestelle (o nell'astensione); difficilmente coloro che dal Pd han votato Salvini possano “ri-entrare” a breve. Per questo, accanto ad un sistema elettorale in parte maggioritario, in parte proporzionale (il Mattarellum per intenderci: il proporzionale è inadeguato ormai!), ci vuole un'azione chiara ed inequivoca che identifichi il partito come il baluardo comunque degli interessi più “deboli”, che sappia proporre politiche serie per l'ambiente con l'obiettivo di incanalare il movimento nato intorno a Greta verso un convinto consenso, che sostenga lo stato sociale, che tuteli la sanità pubblica incrementando la qualità dei servizi, il numero degli operatori sanitari con remunerazioni adeguate; che rilanci la scuola pubblica, ridefinendo programmi scolastici (ancor oggi escono dai nostri Licei giovani che non hanno la benchè minima cognizione di come è organizzato lo Stato...e sono in età di voto!), riqualificando gli Insegnanti non solo sul piano stipendiale, rivedendo dunque l'impostazione aziendalistica (problema enorme che và però affrontato al più presto)...In un certo senso “togliere ossigeno alle posizioni politiche dei Cinquestelle”, smascherandone il populismo che spesso le sottende e le contraddizioni che al di là di roboanti proclami le innervano (pensiamo al fisco..ai condoni..alla Giustizia..alle Istituzioni: Parlamento sì Parlamento no...tanto per dirne qualcuna). Ma un partito così comincia ad essere tale dalla base, dai circoli locali, dalla capacità sui territori di essere inclusivi, la possibilità cioè di coinvolgere anche al di là degli schemi di stretta appartenenza tutti coloro che vogliono adoperarsi per progetto di ampio respiro..Si inizia a giocare una grossa partita; speriamo di non riscoprirci impreparati! Gianni Amendola
Don Nino
6 anni fa
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