L’OSSERVATORIO, di Gianni Amendola Riflessioni (amare) dopo il voto amministrativo ad Asti. Che non fosse facile vincere e riconfermarsi ad Asti era nell’aria; pure, l’obiettivo minimo di arrivare al ballottaggio sembrava poter essere a portata di mano. Invece…Essere esclusi (salvo ulteriori ricorsi) per soli 6 voti equivale però, in termini politici, all’aver conquistato il diritto a sfidare Rasero solo in virtù di quei 13 punti, che inizialmente a spoglio concluso, sembravano averci dato il II° posto nella partita elettorale. Perché diciamocela tutta: se fosse oggi il pd a dover contendere la poltrona di sindaco al centro-destra è chiaro che ci saremmo arrivati nel peggiore dei modi (per un pugno di voti e con un netto calo in percentuale), tanto più dopo 5 anni di governo della città. Non si tratta di gettare la croce addosso a Fabrizio che secondo me ha ben operato nel complesso (si pensi alla messa in sicurezza delle scuole, al contenimento delle tariffe nei servizi, all’animazione culturale della città…), pur se ha dialogato poco con la gente, quanto invece di prendere consapevolezza che la crisi che viviamo ad Asti, al di là delle componenti “locali”, riflette quella più generale, anche se ancora poco avvertita, a livello nazionale, di cui la scissione è stata una conseguenza (giusta o sbagliata che la si voglia giudicare). Può darsi che ai ballottaggi le cose andranno meglio di quanto finora è stato (Genova e La Spezia sono casi emblematici e dolorosi), ma la domanda fondamentale è “quale partito siamo e quale vorremmo (dovremmo) essere”? L’apertura al progetto di Pisapia non può essere il rifugio immediato e di immagine dopo il fallimento della proposta di legge elettorale (vale a dire: visto che è andata male guardo a sinistra), perché frutto non di una seria riflessione complessiva quanto di una “necessità”; ma l’urgenza di un dialogo vero a sinistra si pone ora comunque in tutta la complessità ed anche nella sua “potenziale bellezza”. I conti definitivi, a livello nazionale, si faranno dopo i ballottaggi, qui ad Asti credo sia l’ora di dare una svolta vera al partito; le cause della sconfitta sono diverse, ma una la ritengo più importante: il pd ha smesso di essere un riferimento, si è un po’ (diciamo) “imborghesito”, si attiva solo nelle scadenze elettorali e poi, alla fin fine, dà l’idea di essere diventato un partito elitario. Ora si dirà: ma anche Rasero rappresenta un’ elite, non è certo nuovo, eppure ha “quasi” vinto al primo turno; e allora? E’ vero, ma la sinistra, a differenza della destra, è novità, perché deve rimettere in moto le realtà, quelle “sofferenti” (disoccupati, precari, immigrati..) perché siano elevate dal loro stato, quelle necessarie perché cresca e si rafforzi quel tessuto di solidarietà, di condivisione, di cittadinanza (dalla cultura all’accoglienza, all’attenzione al “verde”, per esempio..) . Certo, non che le “vecchie” facce, in quanto tali, non vadano bene a prescindere, ma è la necessità di incarnare con urgenza queste nuove politiche, queste nuove attese, che non sempre viene espressa da chi poi finisce per dare l’idea di una politica più “acquiescente” che di rottura”. Se fossimo andati al ballottaggio per esempio, quanti dei nostri iscritti e simpatizzanti avrebbero chiesto di far il possibile per un programma condiviso, pur consci della difficoltà, con la Sinistra di Passarino (per intenderci) ed il partito Rovera? E quanti invece avrebbero cercato i voti della Quaglia (magari al posto di Passarino)? Ecco, questi sono esempi di un partito che può fare scelte “acquiescenti” o scelte più di “rottura”: da qui ognuno tiri le conclusioni che vuole. Gianni Amendola
Don Nino
6 anni fa
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