L’OSSERVATORIO di Gianni Amendola.
A mente fredda, dopo la batosta elettorale subita, bisogna che il partito ritrovi la sua ragione d’esistere, prendendo coscienza che una stagione è finita e che è necessario aprirne un’altra. E questa “nuova stagione” non potrà prescindere da un lato da un cambio di strategia e di metodo politico, rivalutando il carattere plurale del Pd, con una leadership che sia sintesi riconosciuta da tutti e non più stile “uomo solo al comando”, dall’altro da una rimotivazione “culturale” che porti a ri-scoprire e a ri-assaporare i valori della sinistra (solidarietà, difesa e garanzie per i più deboli, integrazione, tutela del lavoro e dell’ambiente, equità fiscale, difesa dello Stato sociale, Scuola e Sanità come servizi pubblici essenziali …), non solo come enunciati e slogan accattivanti, ma quali proposte politiche e legislative tali da incidere profondamente nella “carne” del Paese. Un partito che torni a stare dove è più acuta la sofferenza ed il disagio sociale (periferie, fabbriche in chiusura…); le elezioni hanno dimostrato che si è perso proprio nei “luoghi” tipici della sinistra, con un voto andato al Sud in maggioranza ai “5 Stelle”, al Nord alla Lega di Salvini, i quali non hanno offerto vere soluzioni, al di là della propaganda, ma hanno cavalcato (e bene) lo scontento della gente, “portandolo” direttamente in Parlamento. Non è solo quindi per il reddito di cittadinanza che il Meridione italiano ha votato in massa per Di Maio e accoliti (o, come al di sopra di Firenze, per la “flat tax”), quanto perché stanco e deluso da una classe dirigente spesso autoreferenziale, autoperpetuantesi, a volte familistica, non in grado di risolvere i problemi, per la quale il Pd ha avuto tolleranza se non addirittura identificazione; la gente allora ha scelto chi esprimeva con le sue stesse parole il proprio malcontento, promettendo un radicale cambiamento (senza farsi troppe domande su coperture economiche o sull’Europa che controlla…) e senza badare “in loco” alla “credibilità” del candidato proposto, quanto al “brand” di chi lo proponeva. Ora, allo stato attuale, è difficile dire come evolverà la situazione politica; certo è che l’ipotesi di un governo con i “5 Stelle” potrà essere accettata solo a determinate condizioni, alcune della quali sono già state ipotizzate, vale a dire riconoscimento dello “ius soli”, accoglienza e piani di integrazione, coperture economiche garantite circa il reddito di cittadinanza, riforma elettorale seria, con ragionevole premio di maggioranza ed a doppio turno (visto che ci sono ormai 3 “poli), cui aggiungerei il rispetto delle norme sui partiti deliberate dal Parlamento, su cui il Movimento si era astenuto, in quanto loro sono un tutt’uno con un’azienda privata (la Casaleggio Associati), di cui sarebbe opportuno conoscere, per la trasparenza, quali fonti di finanziamento abbia, al di là dei 300 Euro che i parlamentari pentastellati debbono versarle mensilmente.. Su queste basi un’eventuale alleanza coi Cinquestelle potrà essere fruttuosa per il Paese e non disdicevole per il Pd ed avrebbe il merito di “stanare” Di Maio e company, visto che il diniego verso queste condizioni (che volendo potrebbero accettare, a parte l’ultima forse) ricadrebbe interamente su di loro. Ma per far ciò occorre un Pd motivato, che abbia già trovato una strada su cui ricominciare a correre, anche se per ora sembra il contrario: c’è risentimento, voglia di rivincita, tentazione (forse) di spaccare il partito portando una parte di esso a sostenere un governo di centrodestra o un “Aventino” ad oltranza, quasi che tutto il Pd dovesse pagare interamente il prezzo del tracollo elettorale; soprattutto voglia di impedire che si formi una robusta maggioranza interna che metta da parte quella finora vincente. Ecco perché nel precedente “Osservatorio” avanzavo per la Segreteria nazionale l’idea di una persona come Fabrizio Barca (ma ce ne sarebbero anche altri), una figura cioè fuori dalle attuali alchimie e dai reciproci risentimenti, che potrebbe mettere tutti (o quasi) d’accordo, a condizione che gli sia dia ampi poteri di indirizzo, per muoversi in un’ottica unitaria “non di facciata” e soprattutto sia proposto da un’ampia fetta di partito (e che lui acconsenta)… Zingaretti sarebbe eccellente scelta, ma il rischio è che il doppio incarico di Presidente della Regione Lazio e di leader di partito possa nuocergli politicamente. I “5 Stelle” accetteranno però di farsi condizionare, avendo vinto le elezioni? Il fatto è che Di Maio si comporta come se avesse il 51%, dimenticando che il sistema con cui si è votato è sostanzialmente proporzionale non maggioritario come il precedente, per cui chi vinceva “si prendeva tutto” (ammesso e non concesso che fosse giusta questa deriva da “spoil system”); anche i paletti posti circa l’impresentabilità dei possibili candidati del Centrodestra alle Presidenze delle Camere, Calderoli e Romani, sanno molto di “superiorità”, di chi si sente cioè non solo in grado per i voti ricevuti, ma depositario di un potere d’interdizione che altri non possono avere. Io resto ancora dell’opinione, dopo il risultato elettorale ampiamente previsto, anche se non così drammaticamente devastante per il Pd che ha regalato un buon 6-7% ai “dimaini”, che il Movimento pentastellato cerchi di portare all’incasso soprattutto la norma sui vitalizi, quale trofeo da sventolare in caso di elezioni anticipate (tra un anno, tra due…), convinti come sono che con questi numeri una legislatura non durerà 5 anni, a meno di stravolgimenti totali nel Centrodestra (con Salvini che rompe l’alleanza per andare al governo con Di Maio). Nel 2019 infatti si voterà per le Europee (e per le Regionali in Piemonte), le quali potrebbero ridisegnare lo scenario politico italiano e forse la loro idea nascosta è proprio quella di accorpare Politiche ed Europee. Giggino sà bene che governare un Paese difficile come l’Italia, con un Nord a trazione lepenista-leghista, di cui deve necessariamente tener conto, può essere impresa improba che potrebbe logorarlo, rischiando di appannarne l’immagine vincente, facendone emergere i limiti personali. Quindi, in questo quadro, quale il ruolo del Pd? Certamente si deve preparare un congresso che ridefinisca la linea politica; se nel frattempo però si attarderà a parlare solo di Segreteria, di riposizionamenti interni, di rivincite da prendere, di cosa farà Tizio e cosa farà Caio, si supererà il “punto di non ritorno” e ci vorranno forse vent’anni per risalire la china politica e recuperare un motivato consenso! Ecco perché torno a ripetere ed a caldeggiare, come detto nel precedente Osservatorio, la creazione di un “think tank” composto da personalità di “area” che affianchi la fase pre-congressuale, al fine di ridefinire un pensiero politico complessivo, come ricordavo all’inizio, che vada dalla lotta alle povertà al tema della rappresentanza, da una nuova economia all’ambiente, dal fisco al Welfare, dalla Scuola e Università alla Sanità, quali servizi pubblici (e come tali superarne la visione aziendalistica)…Poi certo si dovrà affrontare il tema del Segretario, ma chiunque lo sarà dovrà rappresentare e garantire tutto il partito, magari scelto con le Primarie che sono uno strumento da perfezionare, secondo me essenziale ed irrinunciabile. Ecco, se il partito s’impegnerà “nei fatti” a voltare davvero pagina allora sarà in grado di confrontarsi e di proporre, anche nel caso di una collaborazione governativa, una linea politica ben delineata a sinistra, marcando la differenza coi Cinquestelle i quali, pur di avere voti, si definiscono “post-ideologici” (così possono dire tutto ed il contrario di tutto). Ma di nuovo: ce la farà il Pd o staremo fra 3-4 mesi ancora a piangere, se non a litigare?
Gianni Amendola
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