L'OSSERVATORIO L'aver vinto in Emilia-Romagna è stata cosa buona, non solo per il fatto in sé quanto perchè c'è stata una mobilitazione dal basso, una risposta “fisica” (piazze riempite) al sovranismo di Salvini che ha consentito in buona parte al Pd di tornare ad essere il primo partito nella regione. Ciò però non deve illudere perchè resta sempre il problema di un voto che per tanti anni era dato per scontato mentre ora lo si è dovuto sudare non poco (e comunque meritato). Rimane da capire (e dare dunque risposte) chi cercava un cambiamento nonostante l'Emilia-Romagna avesse (ed ha) degli indicatori economici e sociali tra i migliori d'Italia, e se c'è stato un eccesso di sicurezza, fors'anche una diminuzione di interesse, nel rapporto pluridecennale tra la “sinistra” ed il mondo delle cooperative e della gente comune. Ora si dovrebbe ripartire bene per quanto riguarda il nostro partito che, come vuole Zingaretti alla luce dell'esperienza del recente passato e soprattutto delle novità del presente, non potrà non aprirsi a quel mondo della cooperazione, della solidarietà, di chi vuole in sostanza essere in prima fila nell'impegno a superare le disuguaglianze sociali, generatrici a loro volta di disagi e di ingiustizie. Il prossimo congresso sarà decisivo al riguardo e si vedrà se nel Pd l'apertura verso realtà contigue ma non “inquadrate” (tipo Sardine, ma non solo) sarà vera, perchè se prevalesse la linea che “gli esterni vanno bene purchè non turbino gli equilibri interni” non si andrà lontano. Spero prevalga la linea dell'apertura e al contempo il ridefinirsi di una linea politica chiara che ponga il Pd quale riferimento per molti di un riscatto sociale. Non dimentichiamo che la Lega di Salvini (e il centrodestra) governa in parecchie regioni, alcune delle quali erano guidate dalla sinistra. Per cui o il Pd cambia, tornando a stare tra la gente, nelle periferie, aprendo i suoi circoli a chi vuole seriamente al di là delle tessere portare un proprio serio e competente contributo, e smette di essere un partito di notabili (o presunti tali) in cerca di visibilità e di portatori di tessere che si attiva solo in vicinanza delle scadenze elettorali, oppure non sarà più il perno di un cambiamento radicale della politica. Perchè questa è la vera posta in gioco. E' ovvio che l'attuale esperienza di governo sarà decisiva per il partito, purtroppo scontrandosi con la crisi irreversibile dei Cinquestelle. Che il Pd sia in risalita nei sondaggi e quindi nel consenso, al contrario dei grillini, non può indurre all'ottimismo per la sorte del governo, in quanto, proprio perchè in grande difficoltà, quest'ultimi cercheranno in ogni modo di puntellare le loro bandierine per non sparire definitivamente; la prova lampante di ciò è il tema della prescrizione breve. Può sorprendere (ma fino ad un certo punto, se si comprende un poco lo spirito dei Cinquestelle) la rigidità di Bonafede che sembra non offrire sponde per un compromesso. Come può infatti, in quanto ministro della Giustizia, persistere con un testo di riforma che scontenta profondamente sia la magistratura sia l'avvocatura? Né può essere ammissibile che tale esteso dissenso venga interpretato, nella logica settaria dei Pentastellati, come il segno di “stare nel giusto” perchè evidentemente si vanno a toccare (secondo loro) determinati interessi! Il destino prossimo futuro dei grillini si lega inevitabilmente a quello del governo Conte (sarebbe più esatto posporre i termini); la loro crisi è purtroppo destinata a complicarne la vita, in quanto giocheranno il tutto per salvare la loro immagine ormai sbiadita, lasciando pochissimo spazio alle mediazioni, considerate sconfitte “a prescindere”. Nè traggano in inganno le dimissioni di Di Maio: Giggino vuole riprendere la leadership, aspetta solo il momento giusto per reinsediarsi al vertice del partito (pardon: Movimento), nella consapevolezza di non avere per ora avversari per la successione; intanto, come fosse ancora il capo, invita i militanti a scendere in piazza per manifestare contro “il sistema”, reo di voler affossare le riforme più significative, vale a dire quella sui vitalizi dei parlamentari, che si vorrebbero ripristinare, e il reddito di cittadinanza, che qualcuno vuole rimodulare e riformare. L'unico al momento che potrebbe insidiarlo è Di Battista, il quale ha già annunciato il suo rientro nell'agone politico, ribadendo al contempo che il Movimento non si lega né alla destra né alla sinistra, anzi su economia, ambiente ed immigrazione lui porterà avanti proprie posizioni, maturate nei suoi recenti viaggi, e chi ci sta ci sta; una sorta di richiamo della foresta a tornare alle origini, quando i Pentastellati, raccogliendo il dissenso di tanti delusi dalla politica, sparavano a palle incatenate contro il “sistema” (ci risiamo). Solo che essendo da quasi 2 anni al governo, e partecipando in tal veste a disegnare la geografia del potere delle aziende di Stato, come ricordava giorni fa il Presidente della Camera Fico ai militanti in Campania, i Pentastellati sono ormai loro stessi “sistema”! Quello invece cui non danno ancora risposta, come dissi in un recente Osservatorio, è il motivo per cui, nonostante il reddito di cittadinanza, il taglio dei parlamentari, la legge sulla prescrizione ed i vari “restitution days”, hanno di fatto più che dimezzato il consenso elettorale acquisito nel 2018. Il fatto è, ripeto, che l'essere passati da un governo all'altro, l'aver oscillato da posizioni inizialmente anti-euro e poi il contrario, chiedendo però nel frattempo l'impeachment per Mattarella reo di aver posto il veto alla nomina a ministro di Paolo Savona, non certo “filo-Europa”; ed ancora: le norme a favore dei condoni edilizi, in Sicilia (si votava per le Regionali) e successivamente per Ischia, da poco colpita da un pesante terremoto, le indefinite posizioni in politica estera, tutto ciò ha contribuito a dare del Movimento un'immagine ondivaga, ambivalente, sempre pronto a cavalcare temi solo se in grado di portar voti (come sull'immigrazione, problema su cui non si sono mai distinti da Salvini), ma soprattutto senza una idea precisa e definita di Paese. Perchè senza proposte chiare su lavoro, fisco, scuola, università, ambiente (cose che “fanno” un Paese), lo sventolare “gli scalpi” contro la casta ha finito per essere percepito solo come battaglia auto-referenziale poco produttiva, visto i problemi tuttora aperti e non avviati a soluzione (e stando loro sempre al governo). Il destino del M5S sarà probabilmente quello di dividersi in tre raggruppamenti: uno governista col Pd (Fico, Patuanelli..), un altro contrario al governo col Pd ma aperto ad un ritorno con Salvini (Di Maio), un terzo “duro e puro”, che non si alleerà con nessuno (la linea di Di Battista-Paragone). Per tacere ora di ciò che potrebbe accadere alla fine della legislatura quando scatterà per i parlamentari grillini il divieto di candidarsi dopo 2 mandati; riguarderà gente come Di Maio, Fico, la Taverna, Toninelli, Crimi, Morra ed altri.. Che faranno? Usciranno tranquillamnete di scena o come credo Grillo e Casaleggio troveranno qualche cavillo che li faccia riconfermare? O “in articulo mortis” della legislatura ci saranno trasmigrazioni, magari anche verso il Pd?...Si capisce allora quali difficoltà affronterà il nostro partito con un partner così devastato, ma che nell'attuale Parlamento detiene ancora la maggioranza relativa! Il fatto è che si ha però moltissimo da perdere da un'azione di governo scarsamente incisiva, attenta più a salvaguardare un precario equilibrio piuttosto che orientare in modo deciso l'attività dell'Esecutivo stesso. Dell'attivismo di Renzi invece si è detto e si dice tanto, che trattasi soprattutto di un bisogno di visibilità, stante i sondaggi che riguardano Iv; ma c'è chi ipotizza la caduta di Conte sul tema della prescrizione e la formazione in Parlamento (senza passare da elezioni anticipate) di un governo da affidare a Giorgetti (a Salvini no, anche per le importanti questioni giudiziarie che lo toccano), con un robusto impianto di destra moderata nella sua struttura e con Iv in appoggio. Mattarella, molto tempestivamente (a conferma che la cosa forse non era solo un'ipotesi teorica), ha già detto che in questo Parlamento altre maggioranze, al di là dei numeri, non sono possibili, ammenocchè non si vogliano coalizioni ulteriormente disorganiche e disarmoniche (ma il centrodestra avrà il coraggio di escludere da tale eventualità la Meloni, difficilmente “digeribile” da Iv?). Piuttosto sarà da conoscere l'atteggiamento di Renzi per le imminenti tornate elettorali regionali che riguarderanno Toscana, Marche, Campania, Puglia e Liguria, e in più le comunali a Roma. Quattro di queste regioni sono a guida centro-sinistra, ma già vi sono problemi circa i candidati di Campania (De Luca) e Puglia (Emiliano), per motivi diversi, ma per Renzi difficili da accettare (De Luca magari alla fine sì, Emiliano certo “no”); bisognerà inoltre vedere chi sarà il candidato sindaco della capitale, elezione che a Roma si sommerà a quella suppletiva per la copertura del seggio lasciato vacante da Gentiloni, migrato in Commissione europea. C'è tanta carne al fuoco, come si vede, e per questo il Pd dovrà essere unito, ma nella chiarezza delle sue scelte e strategie: il tempo scorre velocemente in politica e soprattutto non fà sconti. Perdere quest'occasione di rilancio per eventuali beghe interne vorrebbe dire la fine di tutto. Gianni Amendola
Don Nino
6 anni fa
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